Varie Contest fic - 3° edizione

MrPsykarl88

Paranoid android
Una partita a dadi

Un nuovo complesso era nato sotto la ragnatela stradale di Deling City.
Sopra, all'aria aperta, i bus scivolavano tranquilli per le vie, accogliendo passeggeri inconsapevoli e all'oscuro di ogni verità. Erano per così dire dei cittadini ideali. Il loro tempo scorreva tra parole e pensieri che si illudevano essere propri, e scommesse su quale concorrente l'avrebbe vinta su certe futili gare, mentre oltre le loro percezioni si stava delineando un evento che avrebbe deciso il destino di loro tutti.
La strega Edea ne avrebbe mosso i fili insieme al suo sinistro compagno. Nonostante tutti lo vedessero ancora come il Salvatore del Garden; la sua coscienza era stata irrimediabilmente compromessa dalla compressione temporale. Quindici anni erano passati, ma da allora il mutamento era stato lento e insidioso come un veleno ad azione tardiva.
In seguito alla vittoria che i Seed riportarono contro Artemisia, furono chiare a tutti le ragioni per cui Cid, rettore di una delle più prestigiose confraternite di guerrieri scelti, venne elevato a presidente di una delle città più nevralgiche del continente, Deling City; trascinando con se' sua moglie nelle vesti di prima lady.
C'era dunque stato un tempo in cui Edea sembrava tornata a essere l'affettuosa Madre del passato; prima che il male usurpasse nuovamente la sua mente tramite gli influssi del suo amante segreto.
Rinoa era passata a miglior vita in circostanze tutte da chiarire, e Rouin, il figlio che Edea ebbe da Cid, non aveva poi molte somiglianze col padre putativo. I più maliziosi trovarono nuovi argomenti con cui riempire i loro pomeriggi.
E tanto più diedero aria al pettegolezzo quanto più i notiziari si dibattevano attorno alla pretesa scomparsa di Rouin:
meglio insabbiare certe verità prima che vengano del tutto a galla?

Dal pavimento saliva lezzo di sangue coagulato. Non c'erano letti, non c'erano cuscini che rendessero il sonno un po' più agevole, unica macchia a risaltare tra le crepe della dura pietra; un moncone di carne assalito dalle larve. E non c'erano nemmeno sbarre in quella cella.

- Che i tuoi occhi siano le tue sbarre.

Le parole del carceriere presero daccapo a risuonare nella sua testa, i denti stretti per l'eccitazione mentre evirava il suo compagno con una tenaglia arroventata. La sua mente semplice gli aveva giocato un brutto tiro: l'assenza di sbarre non implicava che chiunque potesse uscire in qualsiasi momento dalla sua cella. Non senza la sua virilità in cambio.
Lo squarcio di libertà illusoria che si gettava nel corridoio gli diveniva ogni giorno più insopportabile. Era taciturno e introverso come il padre, sempre così a suo agio nel suo mondo di voci interiori; eppure da quando l'avevano sbattuto lì sotto, il palco della sua immaginazione aveva preso a farsi insolitamente vivido.
C'erano notti, c'erano silenzi in cui i suoi fantasmi parevano unirsi in un abbraccio paradossale tra passato presente e futuro. Era come se il tempo si comprimesse, la sua linea si raggomitolasse fino a diventare un minuscolo punto. Frasi pronunciate all'alba della sua esistenza uscivano dalla memoria per trasformarsi in suoni esterni; scorci di cose mai avvenute iniziavano a lampeggiare dal fondo dei suoi ricordi, come se ci fosse stato davvero un tempo in cui le aveva sperimentate sulla pelle.
Da qualche giorno alcune scene prendevano vita con frequenza più pulsante di altre. Un ascensore, una fronte solcata da una cicatrice; un uomo inginocchiato che agonizzava nella sua cella. Non sapeva come, ma avvertiva quell'ascensore come una destinazione finale, le altre immagini essendo solo tasselli di un puzzle da ricomporre e teso a condurlo davanti a quella pulsantiera, a quei bottoni, a quelle porte scorrevoli.
Ma di certo non c'era nessun ascensore nei pressi, e lui avrebbe dovuto alzarsi da quel freddo pavimento di pietra e perlomeno uscire dalla cella per trovarvisi di fronte. Il suo sguardo tornò sul membro amputato del suo non più compagno di cella. Non seppe trattenersi.
I suoi succhi gastrici si riversarono e presero a scorrere a rivoli tra le crepe del pavimento. Dei passi ora si stavano affrettando verso di lui.

- Il cuoco non compiace forse il vostro nobile palato, signor Rouin?

La guardia lo stava irridendo. Ma ora che la osservava da vicino, con quello sguardo pieno di sarcasmo, ebbe modo di capire e d'un tratto tutto gli si dispiegò più chiaro del sole. Era intermente protetto da una tuta blu elasticizzata, qua e là guarnita da placche di metallo di dubbia qualità. Ma quei suoi occhi erano davvero simili a...non c'era dubbio, doveva essere proprio lui.
Rouin pretese di essere spaventato da qualcosa che calava dal soffitto, e nel momento in cui la sentinella sollevò il capo per controllare; Rouin gli assestò un unico, letale colpo sul pomo d'Adamo, ora leggermente esposto aldisotto del corpicapo. Assistette alla lenta agonia dell'uomo.
Si prostrò in ginocchio, le mani contratte d'istinto alla gola mentre gli occhi gli si accendevano paonazzi e imbevuti di sofferenza dietro due fessure di cuoio.
Venne depredato della sua tenuta da sentinella e le sue nudità furono rivestite con laceri stracci da prigioniero. Rouin fece per uscire da lì quando fu consigliato da un'altra precauzione. Volse l'uomo in posizione prona, nell'angolo più buio della cella, la faccia priva di vita rivolta al muro.
Gli occhi delle guardie avrebbero visto un prigioniero impegnato in un sonnellino ristoratore, e una guardia come loro fare la ronda che era tenuta a fare. Nulla di diverso dal solito.
L'impettito sovrintendente di quella parte di stabilimento, egli notò, stava proprio ora avanzando a passi solenni e pesanti verso di lui.

- Comandante!

Vociò una guardia a una decina di metri di distanza.
Cercò di esaminare quanto più possibile nei dettagli le mosse con cui il subordinato si era appena dimostrato tale al suo capo: aveva piegato agilmente il ginocchio destro, e, le braccia ben aderenti ai fianchi, la prima sillaba di quella parola veniva fatta coincidere con un colpo di piede sul pavimento.

- Comandante!

Rouin imitò il saluto fedele come uno specchio, per poi proseguire nella direzione opposta a quella del maggiore.
Svoltò un angolo e si ritrovò davanti a un lungo corridoio, le pareti sgualcite dall'umidità della terra, prima di attraversare a passi cadenzati una scala che conduceva ancora più in profondità nella struttura. Era davvero difficile mantenere il modo di camminare tipico delle sentinelle, così sgraziatamente sobrio e meccanico, quando dentro di lui si agitava tutto tranne che ordine e sicurezza.
Avrebbe voluto mettersi a correre, sfondare pareti, tornare a casa: ecco quello che avrebbe voluto fare, non certo imporsi di recitare la parte del burattino.
Ma a volte, si disse, gli attori raggiungono mete ben più lontane delle persone vere.
Quei dannati sotterranei era così smorti e squallidi, tutte le stanze e i dipartimenti si ripresentavano uguali l'uno dopo l'altro, come in un incubo fin troppo reale da cui sapeva non ci sarebbe stato alcun risveglio.
Si trovava ora nell'ennesimo magazzino, il soffitto anche basso più dei precedenti; file e file di container organizzati a perdita d'occhio gli precludevano un'ampia visuale dell'ambiente circostante. E fu in un attimo che, passando distrattamente lo sguardo tra una fila e l'altra, ebbe il lampo fugace di una porta d'ascensore illuminata nella distanza. Quello fu troppo.
Abbandonato ogni proposito di apparire una normale guardia ligia al proprio dovere, si mise a correre. Ed eccola lì, la visione che lo disturbava da ormai troppe notti gli era ora a pochi metri di distanza.
E quindi? Cosa aveva ottenuto a raggiungere quel posto in cui ogni cosa, dalle crepe del pavimento ai cigolii delle lampade mosse dagli spifferi di areazione; appariva mummificato in un atto di brutale instancabile osservazione?

- E adesso?
- E adesso ascoltami.

Due voci si levarono da sotto la sua posizione e oltre le opache griglie che si stendevano dai lati dell'ascensore, una maschile, autoritaria; l'altra di donna, traboccante soggezione e titubanza. Nella prima gli parve di riconoscere suo padre. L'altra...troppo alterata da potersi associare a un volto di sua conoscenza, nondimeno gli trasmetteva un nonsochè di familiare.
Riprese a giocare al gioco del bravo soldatino in modo da poterli osservare e ascoltare senza dare nell'occhio. Era sempre lo stesso giro attorno allo stesso gruppo di container quello che si era imposto di fare; perchè no? Un paio di metri di quel percorso gli permetteva di mantenersi pressochè aderente alla rete metallica, al punto da cui sentiva che continuavano a provenire le voci. Uno sguardo fulmineo e i suoi sospetti furono confermati. Collo di pelliccia, ciondolo argentato, cicatrice in fronte. Il puzzle era completato, solo che gli sfuggiva il senso di averlo fatto. Continuò dunque col suo giro di ronda.

- Ho voglia di divertirmi. Tutte queste turbe di individui che si svegliano e si addormentano col sorriso, hanno finito con l'annoiarmi. Loro e le loro chiacchiere. – Disse lui.

Arrivato al culmine di un altro giro di perlustrazione, ebbe modo di incrociare per un breve attimo la luce che brillava negli occhi di lui; e nel vederli si ricordò di un'illustrazione che aveva visto tempo addietro in un volume che raccontava storia e vicende della Guerra alle Streghe. Quel bagliore...possibile? Sembrava lo stesso che aveva visto trasparire dagli occhi cartacei della Strega del Futuro. Non c'era più nulla, in quegli occhi, che lo facesse rassomigliare pur lontanamente a qualcosa di umano.

- Ti scongiuro...- Lo implorò lei con voce sottile. Pure nei suoi occhi, notò, brillava una luce simile a quella che aveva scorto altrove, tuttavia...vi era un che di remissivo e sottomesso se paragonato alla fierezza che baluginavano quelli del suo amante - La mia reputazione già non è delle migliori, vuoi proprio che al mio popolo si urli in faccia la verità?

- Proprio di questo volevo parlarti – Riprese lui - La vedi quest'anfora di cemento?
- Sì, la vedo. Cosa contiene, altre dimostrazioni della tua clemenza verso i prigionieri, per caso?
- Spiacente, non questa volta tesoro – La smentì sboccando in una breve risata - Qui ci sono tante belle biglie colorate. Alcune nere; come la pelle che si ritroveranno quegli idioti lassù in città dopo essere stati arsi nelle loro abitazioni; altre rosse, come i fiotti che sgorgheranno dalla lingua mozzata di nostro figlio – Si interruppe portandosi una mano alla bocca. – Chiedo perdono donna; intendevo dire tuo figlio. Ma vedi, colomba mia; per chi avrà perso la facoltà di parlare non saranno più possibili sviste e distrazioni come le mie. Lo stesso dicasi per chi è morto.
E ti dirò, non riesco proprio a decidermi su quale tra queste due eventualità preferire. Per questo farò affidamento sulla sorte. A volte può essere cattiva consigliera, ma di certo i suoi sono tra i migliori consigli cui si possa aspirare in questo mondo senza dei.

Allungò il braccio verso l'imboccatura del contenitore.

- Squall! Aspetta! - Lo trattenne lei.

Ci fu un attimo di assordante silenzio, un attimo saturo di invisibili nervature di attesa e di pentimento.

- Non. Chiamarmi. In...QUEL MODO!

A Rouin parve quasi un miracolo che suo padre seppe trattenersi dall'aggredirla, tanta era stata la furia con cui aveva urlato quelle parole. Ma il miracolo alla fine avvenne, e tutto quello che fece fu strapparsi di dosso il suo ciondolo d'argento per gettarlo nelle acque di scolo.

- Si può sapere che ti passa per la testa? - Sembrò improvvisamente lei riguadagnare tutto il suo orgoglio sopito – E' con tuo figlio; è con dei civili innocenti che un tempo avresti protetto a costo della tua salvezza...E' con queste vite che hai intenzione di giocare a dadi?!

- Perchè no, Edea? – La volle ripagare della stessa moneta pronunciando il suo vero nome – Vedi; questi di cui parli sono futili dettagli del passato. E io ora appartengo al Futuro.

Rouin intese fin troppo bene il significato di quelle parole.
Tornato il silenzio arrischiò un altro sguardo in direzione dei due, notando che sua madre sembrava tornata a essere la gracile creaturina sottomessa di pocoi fa. La sua voce riprese a muovere obiezioni, pur tradendo scariche di paura e volontà di asservimento.

- Vi rendete conto...mia padrona...per quale banalità...
- Hah! - La irrise lui – Forse che nel corso della storia sono state inflitte sofferenze minori per motivi più nobili?
- Vogliate perdonare la mia intrusione, signori, ma se giungo a voi è dietro urgente invito del comandante.

Nel dire comandante, Rouin si curò di ripetere il medesimo saluto che aveva esibito nell'incrociare il maggiore ai piani sopra.
Squall ed Edea si volsero al loro figlio, ma essi non videro altro che un'anonima sentinella in tenuta d'ordinanza.

- Di cosa si tratta? Spiegati meglio.
- Informazioni riservate, mio signore. Il mio compito era di venirvi a cercare per informarvi che il comandante vi attende per questioni urgenti. Non mi è stato dato di sapere nulla di più.

Si sentì perforato, scrutato, messo a nudo. Ma ben presto, attorno a lui tutto tornò a essere immerso in un silenzio senza moto; non c'era più nessuna presenza in quel magazzino sconosciuto ai più. Era di nuovo solo, lui e la sua terribile consapevolezza. Ma le sue visioni avevano finalmente acquisito un senso.
Capì perchè quel qualcosa l'aveva spinto fin lì dove si era spinto. Le stesse distorsioni temporali che avevano deturpato e sconvolto l'essenza di suo padre, stavano forse offrendo a lui l'opportunità di riscattarsi, di dimostrare che non era mai tardi per inseguire un bene superiore? La compressione temporale era sempre stata usata per scopi malvagi, forse la chiave per spezzare il ciclo risiedeva nel servirsene per salvare delle vite. Chi poteva dire quello che sarebbe successo? Forse valeva davvero la pena di tentare, o forse, si disse, stava semplicemente uscendo di senno.
I suoi forse continuarono ad assillarlo anche mentre l'ascensore lo stava conducendo davanti a quell'anfora di cemento. Anche mentre la svuotò di tutte le sue biglie colorate. Anche quando quelle nere andarono a finire nel canale di scolo, e solo biglie rosse tornarono a giacere nel fondo del recipiente.
 

Pay

Nuovo utente
come promesso ho scritto anche io una piccola fic :>




L’ultimo viaggio​

I preparativi andavano avanti da giorni ormai e il momento della partenza era vicinissimo.
Lulù sospirò concedendosi un po’ di riposo. Sarebbe stato il suo terzo viaggio quello. In fondo non c’è due senza tre. Aveva dedicato tutta la sua vita a quella missione. Proteggere la vita degli invocatori rischiando addirittura la sua. Ma in quel mondo non c’era tregua e per lei combattere era l’unica cosa giusta da fare. Aveva perso così tanto in quegli anni ma non si era ancora arresa. Chappu sarebbe stato d’accordo con lei e con le sue scelte. Anche lui non si era risparmiato e alla fine la guerra si era presa la sua vita. Forse non lo aveva davvero perdonato per averla lasciata da sola a lottare, ma poteva forse lei biasimarlo? No. Anche lei combatteva per proteggere chi amava. E avrebbe continuato a farlo. Certi giorni era assalita dal rimorso, avrebbe dovuto fermare Yuna. Era come una sorella per lei, e adesso invece di trattenerla e convincerla a non partire per quel viaggio, la stava seguendo accompagnandola per mano lungo una strada che l’avrebbe portata alla morte. Erano tutti consapevoli di quello che sarebbe successo alla fine di quel viaggio se non prima. Ma nessuno parlava. Con un clima di placida rassegnazione ci si preparava all’invevitabile.
-Lu, sempre assorta nei tuo pensieri.
La voce gli era cara e familiare quasi quanto quella del suo amato Chappu. Ma lei non lo dava mai a vedere.
-Wakka… come al solito a giocare con i tuoi compagni. Scommetto che non hai ancora preparato nulla per il viaggio.
L’amico alzò gli occhi al cielo e non rispose cambiando argomento come ogni volta che lei lo rimproverava.
-Sei preoccupata per lei vero?
Gli chiese invece Wakka.
Lulù non rispose a quella scontata domanda ma si voltò per andare via in direzione dl tempio dove sapeva che l’avrebbe trovata a pregare. Il silenzio a volte è la migliore risposta. Sapeva di essere troppo dura con Wakka. In verità lei apprezzava moltissimo quel suo modo di essere così spensierato. Forse avrebbe voluto fermare anche lui. Forse era quello che la irritava così tanto. Si vantava di voler proteggere le persone che amava, ma poi ne stava conducendo due a morte certa, senza far nulla.
Yuna era concentrata in preghiera dentro al tempio. Rimase a guardare gli occhi pieni di calma serenità di quella ragazza che aveva scelto come obiettivo nella sua vita la morte. E di nuovo come ogni volta che ci pensava capì che anche se era un pesante fardello per tutti, era la cosa giusta da fare… per un bene superiore. Per avere un po di pace.
Tornò alla sua tenda, con nuova determinazione. Bisognava ultimare i preparativi.
Il suo ultimo viaggio stava per cominciare.
 

daffodill

Aurora Execution!
Meno male che il tema non ispirava, c'è una gran partecipazione!
Comunque ho già sbirciato alcune storie e so già che sarà una votazione difficile! Pubblicherò anche la mia prima della scadenza ^^
 

daffodill

Aurora Execution!
La terra della luce

C'era una volta un cristallo. Un grande cristallo azzurro nascosto in una profonda grotta sotterranea. Era un cristallo magico, il cristallo della luce, che reggeva il mondo fluttuante in cielo. Un intero e vasto continente, con le sue colline, le praterie, i fiumi e i villaggi e castelli, sospeso nel cielo. In pochi sapevano dell'esistenza del cristallo e quei pochi erano ormai solo ombre che appena scomparse avrebbero lasciato nascosta l'esistenza del cristallo nelle profondità di quella terra per sempre.

...

"Deserto... ovunque deserto..."
Arc guardò il vuoto intorno a se, era un ragazzo, poco più che un bambino. Un giovane curioso e intelligente. Orfano di entrambi i genitori era stato allevato come tale in un piccolo villaggio tra le colline, ma era accaduto molto tempo fa. I ricordi di allora attraversavano ancora la sua mente di tanto tanto. Non riusciva a ricordare tutto, alcune cose le aveva dimenticate di sua volontà, altre erano semplicemente scivolate via. Arc si sedette su di un muricciolo ad osservare in silenzio il villaggio che lo aveva visto crescere. Adesso, tutto era avvolto da un sinistro silenzio, da una nebbia leggera, umida e fredda, di quel freddo che entra nelle ossa. Che cosa era successo in tutti quegli anni? Così tante cose erano cambiate? Eppure il tempo sembrava così ininfluente adesso. Quand' era stato che il tempo aveva smesso di avere importanza? Sotto tutta quella luce, tutto aveva perso valore. Possibile che fosse stata colpa di quella luce?
Domande su domande attendevano pazientemente nella sua testa una risposta che non era certo di riuscire a dargli. Di fronte a se il panorama gli suscitava ansia e sconforto. I ricordi si annidavano nel mezzo, tra le domande e lo sconforto e Arc prese a passeggiare nel mezzo di quelle piccole vie solitarie. Al suo passaggio strane ombre si creavano sui muri delle abitazioni, sui sentieri e sui prati. Ombre che lo seguivano e che si addensavano sempre più vicino rendendo la nebbia ancora più scura.
"Dove sono gli abitanti del paese? Siete voi ombre?" Arc accostò il bastone ad alcune di quelle ombre, un bastone di legno bianco che per svariati utilizzi e motivi era solito portare con se. Il bastone emanò una candida luce e la luce scacciò le ombre lasciando anche l'ultima domanda senza risposta.
Arc guardò nuovamente quella terra deserta, poi gli voltò le spalle e se ne andò.
Fuori dal villaggio le colline, le conosceva alla perfezione, le aveva percorse molte volte con i suoi compagni, verso il castello, verso le miniere, verso il tempio sotterraneo dove lui e suoi amici custodivano il cristallo. Tuttavia c'era un paritolare silenzio quel giorno. Una pace immobile e inqietante smorzata solo da qualche soffio di vento freddo.
"Dove sei stato tutto questo tempo?" Lo accolse Luneth appena lo vide entrare.
"..."
"Non mi rispondi?" Luneth cercò di guardare il suo amico negli occhi, ma era distratto. Stava costruendo qualcosa. Arc cercò di capire di cosa si trattasse: un'arma rudimentale, come quelle che si vedono nei siti archeologici. Corde, pezzetti di pietra e di altre armi, usurate e rotte, erano sparse per terra un po' ovunque.
"Luneth...le persone sono scomparse."
"Si, l'ho notato."
"Perchè?"
Luneth scosse la testa ed entrambi guardarono il grosso cristallo che stava a mezz'aria davanti a loro. Non ci fu nessuna mistica rivelazione. Il cristallo non parlò, si limitò a restare lì e basta.
"Le persone sono scomparse da tanto tempo, è stata una cosa graduale,insomma, una cosa normale." Disse seccamente Luneth mentre riprendeva il suo lavoro.
"Normale?"
"Si, normale, piano piano. Prima erano solo un po' vaque..."
"..."
" Rarefatte."
Arc guardò il suo amico, stupito. In realtà non sapeva bene come sentirsi.
"Non pensi che dovrebbe avere importanza?"
"Cosa? Di cosa stai parlando?"
"Di quelle persone, Luneth. Parlo delle persone."
"Non c'è bisogno che lo ripeti due volte, ho capito!"
"Si..."
"..."
Arc pensò che dopo tutto quel tempo anche il cervello del suo amico dovesse essersi rarefatto. Luneth guardò il cristallo. Illumato dalla sua luce sembrava brillare anche lui. Arc si chiese se non fosse solo questo il senso della loro esistenza: brillare di una luce riflessa.
Brillare finchè quella luce non si sarebbe spenta. E tutte quelle cose che erano in mezzo, tra loro e la luce, tutto ciò che avevano fatto, quello per cui erano stati chiamati eroi, era tutto scomparso, rarefatto.
Anche il castello era deserto. Nessuna guardia, nessun cavaliere, solo ombre veloci che correvano sui muri.
"Ingus, è il cristallo, ne sono sicuro!"
Dall'alto del trono, nella zona più illuminata della grande sala del castello, Ingus salutò il suo compagno. La luce si rifletteva su di lui e tutto intorno dove le ombre non andavano.
"Ingus, sei solo... dov'è Sara?"
"E' morta molti anni fa. Sai le persone dopo del tempo muoiono."
"Si...lo so come funziona."
"Dove sei stato tutto questo tempo?"
"..."
"Cosa vuoi?"
"Le persone sono scomparse. Lo hai notato vero?"
Ingus scrutò in silenzio il suo compagno che gli stava difronte. Non si scompose e non si preccupò nemmeno di cambiare espressione. Gli fece semplicemente cenno di osservare.
"Tutte queste ombre continuano a seguirmi..." Osservò quindi Arc "...ma a te non si avvicinano."
"E' per la luce."
"Era proprio come pensavo, è il cristallo, la sua luce."
Arc raggiunse il suo interlocutore, sotto la luce. Entrambi guardarono i riflessi sui muri e sulle colonne, sembravano quei giochi che i bambini fanno con le ombre.
"Ingus, stavo pensando. Quand'è che tutto questo ha smesso di avere importanza? Abbiamo combattutto contro l'oscurità, abbiamo protetto il cristallo, abbiamo vissuto della sua luce e sotto di essa... noi abbiamo combattuto per quella luce!"
"Per tutta questa luce..."
"Cosa intendi?"
"Sai... la luce è una questione di equilibrio. Quando c'è tanta luce non si riesce a vedere più nulla e allora non è tanto diverso dall'oscurità. E' solo questione di prospettiva."
"Ma queste persone sono diventate ombre."
"Dobbiamo solo fare una scelta."
"Tu ti ricordi perchè? Ti ricordi perchè era così importante fare quelle cose?"
"..."
"Devo riuscire a ricordarmelo per .... per giustificare tutto questo."
"Ognuno di noi aveva le sue motivazioni."
"Lo abbiamo fatto perchè era giusto!"
"Lo abbiamo fatto perchè volevamo essere degli eroi."
"..."
"La storia dei prescelti e tutto il resto... era divertente, era importante ... eravamo importanti."
"Tutto qui?"
"Arc, dove sei stato tutto questo tempo?"
"Ah, in giro, pensavo di portare la luce, ma credo di aver oziato per la maggior parte del tempo."
"Adesso dobbiamo proprio prendere una decisione."
"Si, ma dobbiamo farlo tutti insieme."

...

I tre ragazzi si ritrovarono di nuovo intorno al grande cristallo, alla stessa distanza l'uno dall'altro con lo sguardo fisso. La luce emanata del cristallo illuminava tutti e tre allo stesso modo. La stessa luce che li aveva accolti e resi i suoi surreali guerrieri.
Alla fine tutte quella luce si era dimostrata tanto pericolosa quanto l'oscurità contro cui avevamo combattuto molto tempo prima. Quando eravamo ancora insieme. Adesso è passato molto tempo e sono rimasta solo io, anziana e viva. Abbiamo scelto strade diverse. Loro avevano scelto di continuare a vivere sotto la luce perchè avevano creduto di essere degli eroi. La luce li aveva inghiottiti. Deve essere stato così difficile distruggere tutta quella luce. Mi chiedo se ci sia luce dove sono adesso. Presto lo scoprirò.
 

MASTERGILGAMESH

Master Member
Avrei una proposta. Si potrebbe mettere in palio per il vincitore un premio in punti reputazione utente, oppure più partite, jolly, salva o punti nel Megaquiz. Volevo sentire la vostra opinione.

Al massimo si possono dare punti Rep ma le partite e i salvataggi al megaquiz possono solo aumentare postando nei thread quindi gli altri utenti non possono farlo Levistone!;)
 

daffodill

Aurora Execution!
Credo che il massimo che si possa fare sia una classifica degli autori più graditi in base a quanti voti ricevono durante i contest.
 

Levistone

Guru Supremo
Volevo far notare che è scaduto il termine utile per postare le fic, e che quindi si può votare. Se permettete incomincio dando il mio voto a Tribal perchè, come diceva quella vecchia carampana della mia prof. di italiano, è stato l'unico a "centrare" il tema, ovvero a rappresentare il protagonista della propria storia come eroe. Non che gli altri hanno scritto brutte storie, anzi erano molto belle, ma nessuna di queste mi ha comunicato perchè considerino il protagonista scelto un eroe, come richiesto dal contest, sviando perciò dall'obiettivo della gara.
 

MrPsykarl88

Paranoid android
Se permettete incomincio dando il mio voto a Tribal perchè, come diceva quella vecchia carampana della mia prof. di italiano, è stato l'unico a "centrare" il tema, ovvero a rappresentare il protagonista della propria storia come eroe..

Non sono assolutamente d'accordo, anche se credo che tutto si giochi attorno alle diverse concezioni che si può avere di eroismo.
Per me ogni racconto è riuscito nell'intento di raffigurare il suo protagonista come un eroe: in modi diversi.
Tribal è stato quello che ha riportato l'atto eroico più canonico e vicino all'immaginario collettivo di tutti i racconti in gara; ma gli altri, pur essendo un po' più alternativi di lui per così dire, a mio avviso sono riusciti a centrare il tema allo stesso modo.
L'eroismo nel racconto di Ayrin è molto intimo e quotidiano ad esempio: il suo messaggio credo fosse che; chiunque si trovi ad affrontare con saldezza d'animo una perdita dolorosa e inaspettata si dimostra un eroe (Sorridi e vai avanti) Per citare la conclusione del suo racconto.
Gatling Gun ha parlato di personaggi che non conosco, però comunque l'atto di prendersi carico di qualcuno per proteggerlo è imprescindibile per ogni eroe che si rispetti...è quasi uno stereotipo (credo che questo l'avesse capito lo stesso Gatling al momento di introdurre il suo racconto definendolo banalità in formato rtf :D)
Pay invece ha parlato del conflitto tra un bene superiore - agire per il bene di tutta Spira - e benessere personale: sconsigliare a una persona cara di sacrificarsi per detto bene superiore in modo da non perderla. Anche in questo senso il suo messaggio era molto chiaro. Eroe è per lei, chi persegue il bene della comunità persino a scapito di quello soggettivo.
Il racconto di Daffodill invece proprio non l'ho capito lol, però sono certo che sapeva quello che stava scrivendo: l'argomento è stato proposto proprio da lei.
Beh oddio, poi per quanto riguarda la mia storia; accettare di propria spontanea iniziativa di farsi mutilare la lingua per salvare delle vite mi sembra un atto abbastanza eroico! :D
(E in questo il mio messaggio è praticamente sovrapponibile a quello di Pay)
 

daffodill

Aurora Execution!
Psy, io non ho capito per chi voti ^^
Comunque sia, nel mio racconto è il protagonista che si interroga se lui stesso è o meno un eroe dopo essersi ritrovato in un inversione di ruoli. Per farla breve, la persona che pensa di essere un eroe scopre che in realtà non è tanto meglio di ciò che condanna e deve rivedere il suo ruolo.

ps... Psycarl, tu hai visto Mister vendetta, vero? (per la storia della lingua intendo) XD

Io non ho ancora letto tutti i racconti, quindi voto tra un po', vi ricordo che c'è una settimana di tempo ^^
 

MrPsykarl88

Paranoid android
Psy, io non ho capito per chi voti ^^
Comunque sia, nel mio racconto è il protagonista che si interroga se lui stesso è o meno un eroe dopo essersi ritrovato in un inversione di ruoli. Per farla breve, la persona che pensa di essere un eroe scopre che in realtà non è tanto meglio di ciò che condanna e deve rivedere il suo ruolo.

ps... Psycarl, tu hai visto Mister vendetta, vero? (per la storia della lingua intendo) XD

Io non ho ancora letto tutti i racconti, quindi voto tra un po', vi ricordo che c'è una settimana di tempo ^^

Io infatti non ho ancora votato, lo farò in un momento in cui ne avrò più voglia lol...
comunque sia daffodill forse non ho compreso bene la tua storia perchè i personaggi non li conosco. Da che capitolo sono tratti? Così ne approfitto per estendere la domanda anche a Gatling...
E Mister vendetta non l'ho mai visto, sul serio :D
 

Levistone

Guru Supremo
Se permetti ti rispondo io e ti dico che quei personaggi sono di FFVI. Volevo solo puntualizzare che ho usato, non a caso, il verbo "rappresentare" (anche se avrei dovuto utilizzare il verbo "mostrare"), ovvero possono anche aver raccontato i propri personaggi come eroi ma non me l'hanno fatto capire, scopo quest'ultimo del contest. Poi tu che te ne intendi di scrittura sei in grado di leggere tra le righe le più svariate sfumature, ma se permetti (magari ho sbagliato a leggere) l'obiettivo era "trasmettere" la propria idea ad ogni lettore: è difficile fare questo se il significato lo devi tirare fuori con le tenaglie dai meandri più reconditi della scrittura, non trovi?
 
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