Game Designer - Parte 1 -

Nedra

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Game Designer Parte 1: Voglio fare il Game Designer!

Riporto qui alcuni articoli presi da CG Italia, che riguardano in sintesi e con chiarezza, tutto quello che riguarda il mondo del Game Design.
Lo scopo di queste discussioni, sarà quello di fare un pò di chiarezza su questa fantomatica e mitologica figura del Game Designer, in quanto non tutti sanno bene cosa è o cosa fa un Game Designer dentro un gruppo di lavoro.
Spero che tutto questo vi aiuti a saperne di più e discutere insieme su questo ruolo tanto fondamentale quanto affascinante.

Daniele Azara ha detto:
L’intento di questa serie di articoli è duplice: da una lato vuole affrontare, con parole semplici e concetti chiari e aperti a tutti, cosa voglia dire intraprendere la carriera di game designer – quello che viene così brutalmente chiamato in Italia “il progettista di videogiochi” – , dall’altro descrivere, nei limiti del possibile, le caratteristiche principali del mercato mondiale cui questa figura fa riferimento. Infine, questa serie di articoli è destinata a due tipologie di lettori: quelli interessati al game design teorico/pratico e quelli interessati ai videogiochi in senso generale.
Non si ha senz’altro la pretesa di fornire una spiegazione completa del funzionamento dell’intero sistema di produzione o del settore videoludico tutto, molto complicato e articolato, ma è nostra volontà contribuire ad aprire uno spiraglio nelle altissime barriere d’ingresso che si frappongono fra gli appassionati italiani e l’industria.
“Voglio fare il Game Designer!”.
La genitrice, fissandolo perplessa, assunse subito la tipica espressione di comprensione materna.
Perché non l’astronauta, o il pompiere? E poi, cosa più importante, cos’è un “Gheimdesainer”? Si domandò. Con un affettuosa carezza sulla fronte del pargolo e un sorriso colmo di infinito amore, la donna alla fine annuì.
“Certo, tesoro, puoi fare tutto quello che desideri”, disse.
Ora, se il sogno del bimbo fosse stato un sogno qualunque, di quelli passeggeri, per intendersi, la cosa sarebbe finita lì. Ma il caso vuole che il ragazzino fosse davvero serio e, una volta cresciuto, oggi, abbia ancora voglia di intraprendere il misterioso percorso: diventare un game designer professionista.
Un punto d’arrivo per noi davvero soddisfacente sarebbe quello di poter aiutare futuri game designer a comprendere come penetrare nel complesso mondo di questa professione, in lingua italiana e senza quegli orpelli troppo spesso usati come arma di difesa da parte di un mondo che sembra lontanissimo agli occhi dei giovani entusiasti dell’ambiente. La nostra volontà, insomma, è quella di gettare le fondamenta di ponti destinati a collegare la nostra piccola penisola mentale con il continente magico dello sviluppo di videogiochi.
Camminare in punta di piedi non renderà veloci, ma porta senza dubbio da qualche parte.

Cominciamo col dire che esistono molte definizioni diverse di game designer. Praticamente ne esiste una per ogni casa di produzione, software house (lo sviluppatore del prodotto), publisher (una sorta di distributore, come avviene per i film) che sottintende mansioni alle volte solo sottilmente differenti le une dalle altre.
La prima cosa da sapere è, quindi, che la materia di cui stiamo parlando, il Game design, è molto frastagliata e anche molto giovane. Volendo fare una comparazione con il cinema, un game designer si trova, oggi, più o meno nelle stesse condizioni di un regista nel 1925, solo con molte più possibilità – dato lo strumento – e l’enorme capacità di comunicazione propria del mondo globalizzato.
Che succede ad una materia così giovane? Tutti ne parlano, pochi ne capiscono.
Questa configurazione rende possibile l’accanimento generalizzato e generalista sull’argomento, un po’ come il presunto atterraggio di UFO a Roswell, con l’inconfondibile risultato di generare una quantità pressoché infinita di tutto e il contrario di tutto.
Per cominciare a districare la proverbiale matassa torniamo al bimbo di cui all’inizio. Fattosi ormai adulto si trova in una condizione davvero complicata. Se vuole fare il meccanico va a fare pratica in un’officina. Se vuole fare il pompiere fa domanda per arruolarsi. Paradossalmente, se vuole fare l’astronauta si iscrive all’Accademia di Pozzuoli e incrocia le dita. Ma se in Italia si è intignito su questa cosa di voler proprio fare il “Gheimdesainer“, bè, il discorso si fa molto più arduo.
Da dove nascono queste difficoltà? Come si fa a reperire informazioni a riguardo? Chi occorre seguire per imparare il mestiere?
Nel nostro bel paese, landa di prosciutti golosi e gioielli di vetro, nascono seri problemi nel realizzare questo obiettivo. Anche in giro per il mondo, dove pure lavorano diversi italiani nella produzione di videogiochi, nessuno, o quasi, ricopre questo ruolo, né come “junior”, né tanto meno come “senior”.

Perchè?

Il ruolo del game designer è un ruolo che è stato in qualche modo mitizzato, legato indissolubilmente all’idea, fortemente sbagliata, che sia lui “quello che fa il gioco”.
L’errore più comune è quello di pensare che il Game designer tiri fuori un’idea, inventi il gioco, per così dire, dal nulla e che tutte le figure professionali coinvolte in una produzione (spesso assolutamente sconosciute ai neofiti) si debbano adeguare come cyborg ad una sorta di illuminazione divina propria solo e soltanto di questa geniale specie che potrebbe far crepare di invidia l’“homo erectus”: l’”Homo designer“. Illuminazione che nella maggior parte dei casi assomiglia molto a qualcosa del tipo: “Ci ho un’idea fichissima. Un gioco in cui tu sei un cadetto spaziale che, dopo una maledizione causata dal rovesciamento di tombe di antichi marziani, può trasformarsi in un super-puma e deve redimersi distruggendo il dio cattivo che ha causato la fine delle popolazioni aliene! Ci sarranno tante armi pazzesche, ma la migliore sono gli artigli laser che tagliano tutto. Però si possono usare solo una volta ogni tanto.”

Amen.

E tutti quanti i presenti si dovrebbero accodare a realizzare questa visione, solo per poter dire “Io c’ero”.
Questo approccio è molto diffuso, tanto quanto è infantile e superficiale.
Col progredire dell’esperienza degli sviluppatori la figura del game designer si sta spezzettando internamente in molteplici campi specifici, con il risultato che quasi ogni cosa venga scritta a riguardo su libri, editoriali e riviste può considerarsi esatta.
Quindi cominciamo con una specificazione.
Il game designer, nel pieno delle sue responsabilità, dirige e supervisiona l’intera produzione di un videogioco. E’ tutto vero. Ma a livello creativo e pratico, a seconda delle abilità e delle tendenze personali, un game designer può decidere di avvalersi di altri designer che svolgano parti del suo lavoro, concorrendo alla realizzazione di alcuni aspetti della produzione delle Game Mechanics (le regole del gioco, come quelle dei giochi da tavola sul fondo della scatola). Questa frammentazione della figura professionale è la responsabile della confusione sul ruolo e sulle mansioni proprie del game design, che analizzeremo in seguito.
La realtà pura e semplice è che lo sviluppo di un videogioco è oggi un affare da milioni di euro, che coinvolge personale altamente specializzato e che deve essere completato in tempi ridottissimi, pena multe anch’esse milionarie. Tenere insieme tutto questo ambaradan è semplicemente impossibile per una sola persona. E’ quindi evidente che l’assunto precedente è completamente infondato: un game designer, di fatto, NON è quello che FA il gioco. Ne è solo una parte.
Delusi? Bè, mettiamola così: meno gloria, ma (qualche rara volta) più ore di sonno.
A differenza del cinema, l’interazione, presente come comune denominatore e definitore nei videogiochi, tende infatti a rendere molto complicato il percorso di creazione, con la nascita di infinite variabili delle quali pochissime possono dirsi “sotto controllo”.
Sony, Electronic Arts, Atari e gli altri grandi colossi dell’industria hanno personale impegnato 24h solo per pensare a nuovi possibili Concept (idee di gioco), nuove tematiche, gameplay (il “come” gioco e utente interagiscono) innovativi, ma la realtà è che la grande parte dei prodotti che arrivano sui nostri scaffali sono o sèguiti di altri giochi (sequel, appunto) o giochi tratti da licenze (brand, come “Harry Potter” o giochi sportivi).
L’industria ha i suoi lati positivi: soldi, mercato, possibilità. Ma anche quelli negativi se portata all’estremo: appiattimento dell’offerta, monopolizzazione, effetto boomerang sulla qualità dei prodotti.
Ancora convinti di voler fare questo mestiere? Ottimo.
L’idea di questa rubrica è proprio quella di renderlo comprensibile, con annessi e connessi, senza orpelli neo-tecno-linguistici.
Allora si parte: spalanchiamo le porte del game design a tutti, vi invito alla lettura della prossima tappa nel mondo dei videogiochi e della loro creazione.

L'articolo su CG Italia

Leggi la seconda parte sul Game Designer
 
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