Bahamut Zero
Dreamcaster
Il nuovo arrivato ci sapeva davvero fare: con poche, abili mosse aveva da solo messo fuori gioco tre guardie senza quasi smuovere un granello di polvere, e comunque senza che nessuna riuscisse a dare l’allarme. Le sue forti braccia ghermivano il collo dei malcapitati attendenti della ShinRa all’altezza della giugulare non appena queste davano le spalle, e con un unico, rapido movimento, impartivano loro il fatale crack.
L’uomo aveva fatto cenno ai suoi tre compari di aspettarlo all’entrata del modernissimo complesso industriale mentre lui sbrigava quella sporca mansione. << Lasciatemi lavorare >> aveva detto, a scanso di seccature, a Barret prima di entrare in azione.
Da solo, aveva silenziosamente girato l’angolo e, col favore delle tenebre, si era avvicinato al cancello principale scivolando segretamente nell’ampio cono di luce elettrica che lo circondava. Sempre non visto, aveva posto fine una volta per sempre alle preoccupazioni del soldato Hagen, che rimuginava su come far quadrare i conti mettendo anche qualcosa da parte per il suo progetto di matrimonio dell’estate successiva. Ultimamente infatti sembrava divertente, ai piani alti dell’esercito, trattenere ai soldati semplici lo stipendio o ridurlo all’osso alla minima disattenzione, al minimo sopracciglio alzato all’ennesimo ordine strampalato del suscettibile ufficiale di turno. Hagen ricordava benissimo quella volta che, fresco di accademia, aveva ribattuto a quel rintronato del colonnello Steiner che, a quanto risultava da sicure ricerche ornitologiche, era impossibile preparare una omelette di uova di dodo, dal momento che si trattava di una specie estinta. Il vecchio militare, che sosteneva ancora la sua crociata contro i moderni e veloci motocicli a reazione per un sano ritorno agli inseguimenti a dorso di chocobo, aveva scatenato un putiferio per non aver avuto la sua frittata: onorò con la sua imponente firma, Adalberto Chevalier Steiner II, approntata con una lunga penna d’oca, decine di vecchie pergamene con cui richiedeva ufficialmente al Comando Generale della Milizia per la Sicurezza di Midgar e al Gran Consiglio d’Amministrazione e al Presidente della ShinRa Corporation, suo diletto e carissimo amico personale, l’arresto per direttissima e la condanna a morte per impiccagione della recluta Hagen del reggimento Plutò della succitata Milizia per la Sicurezza di Midgar per grave insubordinazione agli ordini di un diretto superiore, vilipendio alla divisa che portava e vituperio all’intelligenza di un uomo d’esperienza e somma fedeltà alla Corporazione. Hagen se l’era cavata, per sua fortuna, con una decurtazione di metà del già misero salario. Da allora si era ripromesso di rigare dritto, e di non dar più modo a simili imbarazzanti situazioni di danneggiarlo, per assurde ed ingiuste che fossero.
<< Lasciatemi lavorare >> stava pensando Hagen mentre sorvegliava l’ingresso alla struttura che ospitava il Reattore Mako n° 5, proprio un attimo rima che due braccia nude lo stringessero al collo in una morsa d’acciaio che lo colse di sorpresa. Poi, più nulla.
Veloce come un gatto, e altrettanto silenziosamente (e con una punta di verde beffardagine negli occhi, proprio come i gatti), il giovane uomo biondo trascinò indietro il corpo ormai inerme della prima delle tre guardie fino a tornare dietro il muro che prima gli aveva offerto riparo e lo affidò alle cure dei suoi tre compari. Poi uscì nuovamente dall’ombra e ripeté, con la stesa disarmante ed agghiacciante scioltezza, l’intera bieca operazione con l’altra sentinella. Il soldato Morris, molto diligentemente, non si era avveduto di nulla di quanto era accaduto al commilitone perché troppo impegnato in una interessante conversazione sulla rude vita di caserma con una bellissima brunetta dall’aria civettuola. Quando capì di essere stato giocato, il destino di Morris era già segnato. Mentre, per tre interminabili secondi, cercava senza troppa convinzione di divincolarsi da quell’abbraccio mortale, senza che potesse gridare o avvertire qualcuno dell’attacco in corso, visto che il suo assalitore gli serrava la bocca con una mano inguantata di borchiata pelle nera, si domandò perché Hagen non lo soccorresse. Capì immediatamente che certamente per il collega era già finita, ma non se dispiacque troppo: Hagen gli era sempre stato antipatico.
L’uomo aveva fatto cenno ai suoi tre compari di aspettarlo all’entrata del modernissimo complesso industriale mentre lui sbrigava quella sporca mansione. << Lasciatemi lavorare >> aveva detto, a scanso di seccature, a Barret prima di entrare in azione.
Da solo, aveva silenziosamente girato l’angolo e, col favore delle tenebre, si era avvicinato al cancello principale scivolando segretamente nell’ampio cono di luce elettrica che lo circondava. Sempre non visto, aveva posto fine una volta per sempre alle preoccupazioni del soldato Hagen, che rimuginava su come far quadrare i conti mettendo anche qualcosa da parte per il suo progetto di matrimonio dell’estate successiva. Ultimamente infatti sembrava divertente, ai piani alti dell’esercito, trattenere ai soldati semplici lo stipendio o ridurlo all’osso alla minima disattenzione, al minimo sopracciglio alzato all’ennesimo ordine strampalato del suscettibile ufficiale di turno. Hagen ricordava benissimo quella volta che, fresco di accademia, aveva ribattuto a quel rintronato del colonnello Steiner che, a quanto risultava da sicure ricerche ornitologiche, era impossibile preparare una omelette di uova di dodo, dal momento che si trattava di una specie estinta. Il vecchio militare, che sosteneva ancora la sua crociata contro i moderni e veloci motocicli a reazione per un sano ritorno agli inseguimenti a dorso di chocobo, aveva scatenato un putiferio per non aver avuto la sua frittata: onorò con la sua imponente firma, Adalberto Chevalier Steiner II, approntata con una lunga penna d’oca, decine di vecchie pergamene con cui richiedeva ufficialmente al Comando Generale della Milizia per la Sicurezza di Midgar e al Gran Consiglio d’Amministrazione e al Presidente della ShinRa Corporation, suo diletto e carissimo amico personale, l’arresto per direttissima e la condanna a morte per impiccagione della recluta Hagen del reggimento Plutò della succitata Milizia per la Sicurezza di Midgar per grave insubordinazione agli ordini di un diretto superiore, vilipendio alla divisa che portava e vituperio all’intelligenza di un uomo d’esperienza e somma fedeltà alla Corporazione. Hagen se l’era cavata, per sua fortuna, con una decurtazione di metà del già misero salario. Da allora si era ripromesso di rigare dritto, e di non dar più modo a simili imbarazzanti situazioni di danneggiarlo, per assurde ed ingiuste che fossero.
<< Lasciatemi lavorare >> stava pensando Hagen mentre sorvegliava l’ingresso alla struttura che ospitava il Reattore Mako n° 5, proprio un attimo rima che due braccia nude lo stringessero al collo in una morsa d’acciaio che lo colse di sorpresa. Poi, più nulla.
Veloce come un gatto, e altrettanto silenziosamente (e con una punta di verde beffardagine negli occhi, proprio come i gatti), il giovane uomo biondo trascinò indietro il corpo ormai inerme della prima delle tre guardie fino a tornare dietro il muro che prima gli aveva offerto riparo e lo affidò alle cure dei suoi tre compari. Poi uscì nuovamente dall’ombra e ripeté, con la stesa disarmante ed agghiacciante scioltezza, l’intera bieca operazione con l’altra sentinella. Il soldato Morris, molto diligentemente, non si era avveduto di nulla di quanto era accaduto al commilitone perché troppo impegnato in una interessante conversazione sulla rude vita di caserma con una bellissima brunetta dall’aria civettuola. Quando capì di essere stato giocato, il destino di Morris era già segnato. Mentre, per tre interminabili secondi, cercava senza troppa convinzione di divincolarsi da quell’abbraccio mortale, senza che potesse gridare o avvertire qualcuno dell’attacco in corso, visto che il suo assalitore gli serrava la bocca con una mano inguantata di borchiata pelle nera, si domandò perché Hagen non lo soccorresse. Capì immediatamente che certamente per il collega era già finita, ma non se dispiacque troppo: Hagen gli era sempre stato antipatico.