L’Urlo Del Passero Solitario
La mia storia, visto che sono io che la scrivo, è ambientata in un universo, in una galassia, in un sistema solare e infine in un pianeta; ambientata in un giorno dell’anno. Per chi volesse dettagli del tipo ambientazione oppure il tempo, non posso che rispondere di no alle loro preghiere, anzi, visto che ci siamo tutti abituati, a non rispondere direttamente alle preghiere, il no, dovrebbe fare intendere che io esisto, ma in realtà non esisto, sono il prodotto malato di uno scrittore, lui esiste, la storia che narro esiste, il personaggio rimarrà, io finirò con la fine del racconto, che destino crudele per un narratore che tutto sa, e che tutto racconta.
Questa storia narra il canto di un passero solitario, questo passero è un ragazzo come tanti altri, non è un eroe, non è un drogato, non è un letterato, non è un artista potenziale, non è niente, è una persona normale, di quelle che non se ne vedono per la televisione di quelle che non se ne vedono in racconti o in libri; non darò qualità abnormi a questa massa di carne, perché dovrei? Io sono il narratore che tutto crea, perché devo essere benevolo? Bella domanda a cui lascerò a voi l’arduo compito di rispondere, sempre se ovviamente non mi abbiate ancora mandato a fan ****, giustamente direi. Il ragazzo in questione, Passero, come da titolo, è un passero solitario, come si fa ad essere soli in una società del genere, siamo circondati di persone, basta pensare che sono talmente tante che escono persino dai soffitti. La solitudine è sempre possibile, è un male, un cancro che si può combattere, come? Il saggio ti risponderebbe combatti le tue paure, la tua solitudine da solo e dimostrerai di essere maturo, io essendo altrettanto saggio, manderei quel anziano eremita in un bel posto, non perché non dica qualcosa di giusto, ma perché praticamente non dice niente, come si può combattere la solitudine da soli, è una contraddizione, ma essendo questo mondo contradditorio, forse è la cosa più giusta da fare: basti pensare al più grande paradosso della natura, la morte, si nasce per morire, che consolazione. Il nostro uccelletto si chiama Alessandro, un nome come tanti altri, comune, schifosamente comune, come Andrea, ma in fondo nella sua quotidianità è pur sempre una cosa che identifica una persona, noi siamo il nome o il nome è noi? Lascio a voi l’ardua risposta; non era brutto, (di solito molte persone guardano gli altri per il loro grado di bellezza: sono convinto che un assassino sarebbe scagionato se avesse occhi azzurri e barba bionda) forse si tratta un po’ male, diciamo che ha quegli atteggiamenti da sfigatone, da persona che non ha stile, uno che sicuramente non è degno di partecipare alla vita sociale, ma talmente indegno che non partecipa nemmeno nella cerchia dell’oppresso e dell’oppressore. Il suo carattere non è certo quello che si potrebbe considerare amichevole, potenzialmente lo è, ma visto il suo aspetto chi potrebbe sospettare questa potenzialità, dovremmo rifugiarci un’attimo nella speculazione esistenziale filosofica e criticare la società senza fare niente, per trovare una soluzione naturalmente. Evviva.
Il protagonista di questa storia compare in queste cose che sto scrivendo, adesso: me lo immagino seduto nel suo banchetto di scuola a seguire con sguardo catatonico le lezioni, guardarsi in giro alla ricerca di sguardi complici, ritornare alla sua posizione di prima e capire che nessuno lo vuole e che persino chi lo sta creando potrebbe smettere di scrivere su di lui in qualsiasi momento- parliamo del sole, dell’amore, della bellezza, del caos e dell’assurdità di questo mondo. Di chi stavo parlando prima? Nessuno, solo un ombra. Bellezze naturali, questo mondo è magnifico, perché ci sono i pessimisti, non vedo alcun pessimismo in questo mondo. Parliamo di una persona che mi stà a cuore, aspettate, sono un narratore creato da uno scrittore, mmm non ho alcuna persona che stà nel mio cuore, nemmeno lo scrittore, visto che mi ha creato già dicendomi che sono destinato a morire, quanto vorrei smettere di narrare, ma purtroppo, come voi che mi leggete, sono costretto a continuare a vivere e a scrivere insulse e vane parole.- Che belli sono quei scarabocchi che sta facendo sul suo “quaderno”, ha un spirito artistico pari a quello di un topo morto, e gli sto facendo un complimento, se dovessi essere cattivo, oddei, la storia finirebbe perché la farebbe finita subito. Ad un certo punto rialza la sua testiccola, guarda ancora in giro, si è rotto le palle, ha deciso di seguire la lezione. Il professore, un uomo alto e grasso, col naso grosso e rosso, stempiato e con una piazza del popolo apposto dei capelli, recita delle arcane parole, arcane per il nostro anti eroe, per il nostro Alessandro. Forse si domanda chi è Kant, cosa è la Critica della Ragion Pura, o della Ragion Pratica, ma poi le domande scompaiono nella consapevolezza che quel filosofo tedesco è morto, e che il professore lo sta semplicemente riportando indietro per violentarlo sulla cattedra. Le opere non conservano la memoria degli autori, le parole vengono stravolte, vengono dette in toni che non sono consoni, un autore che dà la sua opera in pasto ai posteri, è come una donna vestita male in un carcere di anziani. C’è tanta gente che ripone ciò che erano stati o le loro riflessioni nei libri, vogliono essere ricordati, ma alla fine nessuno di noi se li ricorda, l’opera viene identificata con l’autore, l’opera viene interpretata, viene violentanta quindi, io ho paura di narrare, ma il mio scrittore no, ho paura di essere violentato, ma il mio scrittore, forse ha più paura dell’oblio.
Dopo la noiosissima ora di filosofia tocca a quella goliarda di matematica. Non ho voglia di raccontare quell’ora e le sue noiosissime quanto banalissime azioni. L’aula è piccola mal messa, un olezzo di sudore aleggia tra i respiri rubati degli allievi. Appena uno entra da una solita passeggiata, sentendo la differenza, apre la finestra, ricevendo querele, parole vane su parole utili, poi la finestra viene chiusa, non si è raggiunto un accordo, forse vogliono giocare alla camera a gas? Un divertimento inusuale per i giovani.
Finita la scuola, saluti e baci, solitudine e canto. Io mi immagino Alessandro, si me lo immagino, lì a guardare i suoi compagni, cercare d’entrare in discorsi non suoi, dispiacersi, sentirsi una *****. Ma in effetti se le è cercata, si è comportata da persona immatura, paura di relazionarsi, sicuramente scriverà così nel curriculum vitae che presenterà ad una sua possibile fidanzata. Sì, ovvio che è una mia opinione, non sia mai che bisogna pestare e prendere in giro le persone sole che hanno paura delle altre persone: per me sono egoiste. O sono io l’egoista, voglio far finta che sia colpa sua, per non prendermi una delle parti della responsabilità? Sì, è così, se ci pensate bene, quando si ammazza qualcuno, è sempre colpa di quel qualcuno o colpa dei videogames: nessuno accetta di essere un assassino, visti i frequenti suicidi, siamo tutti assassini di quelle persone, figo, ma non preuccupatevi, la giustizia funziona male per questo siamo ancora in libertà. Siamo tutti assassini? Forse, magari è stato solo uno sfogo momentaneo quello di prima, in fondo, mi ero appena reso conto di essere stato partecipe ad un omicidio, ma quale? Non è ancora accaduto. Torniamo ad Alessandro, ad un certo punto, una persona lo saluta:“Ciao”- bene vi riporto quanto pensa, è esilarante vedere come funziona una mente malata, o meglio, di una mente che noi consideriamo malata, visto che non potremmo mai accettare che sia normale: “ Un saluto, uwao, qualcuno mi ha notato, dovrei essere felice? Per cosa? No, non lo sono, sono infelice, so che questo saluto è dovuto, è come se bisognasse essere riconoscente a tutte le persone presenti in un funerale: alla fine vengono perché ci devono venire, non perché volessero bene realmente alla persona, alla fine, è solo un dovere, come questo saluto, un misero dovere. Immagino cosa dica fra sé e sé questo *****, magari che deve salutarmi perché mi vede mogio, perché faccio pietà, sì, faccio pietà, ma nessuno mi ha mai aiutato ad uscire da questo stadio pietoso, meglio dirmi su quando faccio dei comportamenti sbagliati; devono sentirsi a posto in fondo, se mi lasciassero morire così, alla fine, si sentirebbero colpevoli. E lo sono! No, sono io quello che deve colpevolizzarsi, sono un ragazzino viziato che non sa fare niente e che dà la colpa agli altri, tutte le altre persone sono “gli altri” ormai non li identifico come enti singoli, sono semplicemente altri. Cosa pensano gli altri di me, non lo so, mi dà fastidio essere così stupido ingenuo. Cosa devo rispondergli?” Se fossi stato dentro la sua mente, ma non lo sono stato, evidentemente, gli avrei detto, digli ciao pezzo di beota, ma ci è rimasto lì a pensare, poi mi pare che lo abbia detto- “Ciao, ci sentiamo”, si allontana dall’edificio scolastico, una sottospecie di carcere disagiato, non perché lo vedo con gli occhi di uno studente *****ne, ma perché era effettivamente così, un carcere disagiato. Perché un saluto ha suscitato in lui cotanti dubbi? Vi è mai capitato a voi di pensare su qualcosa che vi è stato appena detto, offesa, saluto, costatazione, giudizio, parola, articolo, respiro, sguardo ed infine silenzio? Io posso dire che mi è capitato, anche se so che non mi è capitato, sono nato con la prima parola di questo racconto e morirò con l’ultima; ho pensato a tante cose,le parole sono armi, non sono sillabe, o suoni, e l’assenza di azione unita alla parola significa una sola e schifosissima cosa: la riflessione, quando non abbiamo niente da fare, quando siamo soli, annoiati dalla vita, dobbiamo per forza pensare a qualcosa, il pensare è la cosa più terribile che possiamo fare; il pensare genera mostri, genera ragionamenti, genera religioni, genera filosofia, genera la sofferenza. L’unico modo per smettere di pensare, è la morte. Vi chiederete perché il pensare fa male? E’ una mia umile opinione, alla fine gli effetti dipendono dalle persone, quando si vedono che non c’è soluzione alla sofferenza, si deve creare qualcosa che occupi il tempo, in modo tale da permetterci di non pensarci o procastinare la triste conclusione più tardi possibile: odio, invidia, fanatismo, speranza, altruismo, egoismo, non sono forse dei modi per occupare o distruggere questa voglia di pensare? Io la penso così, un opinione vana, sì, ma se la mia è vana anche tutte le altre lo sono, perché? Perché credo che tutte le voci siano uguali, se una è inutile, anche l’altra, seppur elaborata, seppur logica, è inutile e risulta solo un modo per occupare la nostra tendenza alla distruzione psicologica auto-indotta.
Alessandro se ne va, imbocca una strana strada diversa, un vicolo, stretto, ombroso, un vicolo che sembra sempre illuminato dalla luna, perché la luce tenue del sole è solo un illusione in quell’ombra. Perché non se ne è tornato a casa direttamente, ha forse qualcosa da fare con qualcuno? Ma dai, non diamo i numeri, è solo come un cane morto, anzi è solo come il nulla, il cane morto ha i batteri che lo decompongono che testimoniano che è stato in vita; allora dove sta andando? Non lo so, non so dove sta andando, potrei fare tante supposizioni, oppure semplicemente seguirlo in questo suo viaggio. Avete mai letto l’Ulisse di Tennyson? Io l’ho letto, non conosco il poeta, non conosco tanto bene nemmeno la poesia, allora perché lo cito? Bella domanda, lo cito perché quella scelta scellerata mi ricorda la scelta dell’anziano Idle King, mi ricorda l’ultimo viaggio di Ulisse; l’unica differenza del viaggio d’Ulisse e il viaggio di Alessandro è che se uno è una scelta disperata eroica, l’altra è la scelta disperata di un anti-eroe, più coraggioso degli altri anti-eroi di questo fottutissimo mondo.
Dove sta andando? Vi ho mentito prima, so dove sta andando Alessandro. Perché non ve l’ho detto? Perché so come la pensate voi coglionazzi riguardo il suicidio, si sta per buttare da un alto palazzo. Voi considerate il suicidio la scelta del codardo, una scelta disperata di uno che non può fare altro che non sa vivere. Per me un suicidia è uno che guardando il mondo ha capito che esso fa schifo, schifossisimo, tutto ciò che si crede coraggio, il coraggio di affrontare la vita, non è altro che una menzogna schifossima detta per farvi vivere ancora in questo mondo. Si nasce per morire e soffrire, bisogna crearsi qualcosa oltre per giustificare la propria esistenza in questo universo. Tutti a dire, dopo c’è qualcosa o dopo non c’è niente, nessuno sa cosa c’è dopo! Io voglio essere una persona speciale, magari essere il milionesimo che crepa e vincere una serata col morto, cioè assistere il trapasso di un’altra persona: vorrei vedere che faccia fa un prete appena scopre che non c’è niente, o che faccia farà un ateo appena scoprirà che c’era qualcosa, sicuramente sarebbe una faccia divertita. Alla fine il suicida è un disilluso, che vedendo questo mondo, ha deciso di optare per la scelta migliore possibile, affrontando il proprio istinto di vivere, la propria paura della morte, come? Non pensando cosa ci fosse dopo, pensando ad un sollievo, ma in fondo forse sono una sorta di illusi anche loro, forse mi sbaglio anche io. Tutti sbagliamo, ma nessuno c’entra la questione, le mie parole sono sfoghi, gli sfoghi di uno sciocco che non sa spiegare la morte, la sofferenza, il suicidio, la nascita, la gioia, le persone e forse anche sé stesso.
Intanto che ci siamo fermati a parlare e dunque in certo qualmodo vi ho resi partecipi ai miei pensieri, Alessandro si è gettato, che ********, non ci ha aspettato. Il sangue riempie il marcapiede, la sua testa fracassata guarda il vuoto dei piedi dei passanti, alcuni piangono, altri stanno zitti, tra questi passanti ci sono dei diavoli che ridono, degli angeli che passano. Non preuccupatevi questa storia ha un finale positivo, fra due giorni, dopo che il cadavere sarà tolto dalla strada e dopo che la sagoma sarà stata tolta, la gente ripasserà di nuovo su quel marciapiede: il giorno è ritornato dopo la notte, evviva, siate contenti.
Andrea Piccolo
La mia storia, visto che sono io che la scrivo, è ambientata in un universo, in una galassia, in un sistema solare e infine in un pianeta; ambientata in un giorno dell’anno. Per chi volesse dettagli del tipo ambientazione oppure il tempo, non posso che rispondere di no alle loro preghiere, anzi, visto che ci siamo tutti abituati, a non rispondere direttamente alle preghiere, il no, dovrebbe fare intendere che io esisto, ma in realtà non esisto, sono il prodotto malato di uno scrittore, lui esiste, la storia che narro esiste, il personaggio rimarrà, io finirò con la fine del racconto, che destino crudele per un narratore che tutto sa, e che tutto racconta.
Questa storia narra il canto di un passero solitario, questo passero è un ragazzo come tanti altri, non è un eroe, non è un drogato, non è un letterato, non è un artista potenziale, non è niente, è una persona normale, di quelle che non se ne vedono per la televisione di quelle che non se ne vedono in racconti o in libri; non darò qualità abnormi a questa massa di carne, perché dovrei? Io sono il narratore che tutto crea, perché devo essere benevolo? Bella domanda a cui lascerò a voi l’arduo compito di rispondere, sempre se ovviamente non mi abbiate ancora mandato a fan ****, giustamente direi. Il ragazzo in questione, Passero, come da titolo, è un passero solitario, come si fa ad essere soli in una società del genere, siamo circondati di persone, basta pensare che sono talmente tante che escono persino dai soffitti. La solitudine è sempre possibile, è un male, un cancro che si può combattere, come? Il saggio ti risponderebbe combatti le tue paure, la tua solitudine da solo e dimostrerai di essere maturo, io essendo altrettanto saggio, manderei quel anziano eremita in un bel posto, non perché non dica qualcosa di giusto, ma perché praticamente non dice niente, come si può combattere la solitudine da soli, è una contraddizione, ma essendo questo mondo contradditorio, forse è la cosa più giusta da fare: basti pensare al più grande paradosso della natura, la morte, si nasce per morire, che consolazione. Il nostro uccelletto si chiama Alessandro, un nome come tanti altri, comune, schifosamente comune, come Andrea, ma in fondo nella sua quotidianità è pur sempre una cosa che identifica una persona, noi siamo il nome o il nome è noi? Lascio a voi l’ardua risposta; non era brutto, (di solito molte persone guardano gli altri per il loro grado di bellezza: sono convinto che un assassino sarebbe scagionato se avesse occhi azzurri e barba bionda) forse si tratta un po’ male, diciamo che ha quegli atteggiamenti da sfigatone, da persona che non ha stile, uno che sicuramente non è degno di partecipare alla vita sociale, ma talmente indegno che non partecipa nemmeno nella cerchia dell’oppresso e dell’oppressore. Il suo carattere non è certo quello che si potrebbe considerare amichevole, potenzialmente lo è, ma visto il suo aspetto chi potrebbe sospettare questa potenzialità, dovremmo rifugiarci un’attimo nella speculazione esistenziale filosofica e criticare la società senza fare niente, per trovare una soluzione naturalmente. Evviva.
Il protagonista di questa storia compare in queste cose che sto scrivendo, adesso: me lo immagino seduto nel suo banchetto di scuola a seguire con sguardo catatonico le lezioni, guardarsi in giro alla ricerca di sguardi complici, ritornare alla sua posizione di prima e capire che nessuno lo vuole e che persino chi lo sta creando potrebbe smettere di scrivere su di lui in qualsiasi momento- parliamo del sole, dell’amore, della bellezza, del caos e dell’assurdità di questo mondo. Di chi stavo parlando prima? Nessuno, solo un ombra. Bellezze naturali, questo mondo è magnifico, perché ci sono i pessimisti, non vedo alcun pessimismo in questo mondo. Parliamo di una persona che mi stà a cuore, aspettate, sono un narratore creato da uno scrittore, mmm non ho alcuna persona che stà nel mio cuore, nemmeno lo scrittore, visto che mi ha creato già dicendomi che sono destinato a morire, quanto vorrei smettere di narrare, ma purtroppo, come voi che mi leggete, sono costretto a continuare a vivere e a scrivere insulse e vane parole.- Che belli sono quei scarabocchi che sta facendo sul suo “quaderno”, ha un spirito artistico pari a quello di un topo morto, e gli sto facendo un complimento, se dovessi essere cattivo, oddei, la storia finirebbe perché la farebbe finita subito. Ad un certo punto rialza la sua testiccola, guarda ancora in giro, si è rotto le palle, ha deciso di seguire la lezione. Il professore, un uomo alto e grasso, col naso grosso e rosso, stempiato e con una piazza del popolo apposto dei capelli, recita delle arcane parole, arcane per il nostro anti eroe, per il nostro Alessandro. Forse si domanda chi è Kant, cosa è la Critica della Ragion Pura, o della Ragion Pratica, ma poi le domande scompaiono nella consapevolezza che quel filosofo tedesco è morto, e che il professore lo sta semplicemente riportando indietro per violentarlo sulla cattedra. Le opere non conservano la memoria degli autori, le parole vengono stravolte, vengono dette in toni che non sono consoni, un autore che dà la sua opera in pasto ai posteri, è come una donna vestita male in un carcere di anziani. C’è tanta gente che ripone ciò che erano stati o le loro riflessioni nei libri, vogliono essere ricordati, ma alla fine nessuno di noi se li ricorda, l’opera viene identificata con l’autore, l’opera viene interpretata, viene violentanta quindi, io ho paura di narrare, ma il mio scrittore no, ho paura di essere violentato, ma il mio scrittore, forse ha più paura dell’oblio.
Dopo la noiosissima ora di filosofia tocca a quella goliarda di matematica. Non ho voglia di raccontare quell’ora e le sue noiosissime quanto banalissime azioni. L’aula è piccola mal messa, un olezzo di sudore aleggia tra i respiri rubati degli allievi. Appena uno entra da una solita passeggiata, sentendo la differenza, apre la finestra, ricevendo querele, parole vane su parole utili, poi la finestra viene chiusa, non si è raggiunto un accordo, forse vogliono giocare alla camera a gas? Un divertimento inusuale per i giovani.
Finita la scuola, saluti e baci, solitudine e canto. Io mi immagino Alessandro, si me lo immagino, lì a guardare i suoi compagni, cercare d’entrare in discorsi non suoi, dispiacersi, sentirsi una *****. Ma in effetti se le è cercata, si è comportata da persona immatura, paura di relazionarsi, sicuramente scriverà così nel curriculum vitae che presenterà ad una sua possibile fidanzata. Sì, ovvio che è una mia opinione, non sia mai che bisogna pestare e prendere in giro le persone sole che hanno paura delle altre persone: per me sono egoiste. O sono io l’egoista, voglio far finta che sia colpa sua, per non prendermi una delle parti della responsabilità? Sì, è così, se ci pensate bene, quando si ammazza qualcuno, è sempre colpa di quel qualcuno o colpa dei videogames: nessuno accetta di essere un assassino, visti i frequenti suicidi, siamo tutti assassini di quelle persone, figo, ma non preuccupatevi, la giustizia funziona male per questo siamo ancora in libertà. Siamo tutti assassini? Forse, magari è stato solo uno sfogo momentaneo quello di prima, in fondo, mi ero appena reso conto di essere stato partecipe ad un omicidio, ma quale? Non è ancora accaduto. Torniamo ad Alessandro, ad un certo punto, una persona lo saluta:“Ciao”- bene vi riporto quanto pensa, è esilarante vedere come funziona una mente malata, o meglio, di una mente che noi consideriamo malata, visto che non potremmo mai accettare che sia normale: “ Un saluto, uwao, qualcuno mi ha notato, dovrei essere felice? Per cosa? No, non lo sono, sono infelice, so che questo saluto è dovuto, è come se bisognasse essere riconoscente a tutte le persone presenti in un funerale: alla fine vengono perché ci devono venire, non perché volessero bene realmente alla persona, alla fine, è solo un dovere, come questo saluto, un misero dovere. Immagino cosa dica fra sé e sé questo *****, magari che deve salutarmi perché mi vede mogio, perché faccio pietà, sì, faccio pietà, ma nessuno mi ha mai aiutato ad uscire da questo stadio pietoso, meglio dirmi su quando faccio dei comportamenti sbagliati; devono sentirsi a posto in fondo, se mi lasciassero morire così, alla fine, si sentirebbero colpevoli. E lo sono! No, sono io quello che deve colpevolizzarsi, sono un ragazzino viziato che non sa fare niente e che dà la colpa agli altri, tutte le altre persone sono “gli altri” ormai non li identifico come enti singoli, sono semplicemente altri. Cosa pensano gli altri di me, non lo so, mi dà fastidio essere così stupido ingenuo. Cosa devo rispondergli?” Se fossi stato dentro la sua mente, ma non lo sono stato, evidentemente, gli avrei detto, digli ciao pezzo di beota, ma ci è rimasto lì a pensare, poi mi pare che lo abbia detto- “Ciao, ci sentiamo”, si allontana dall’edificio scolastico, una sottospecie di carcere disagiato, non perché lo vedo con gli occhi di uno studente *****ne, ma perché era effettivamente così, un carcere disagiato. Perché un saluto ha suscitato in lui cotanti dubbi? Vi è mai capitato a voi di pensare su qualcosa che vi è stato appena detto, offesa, saluto, costatazione, giudizio, parola, articolo, respiro, sguardo ed infine silenzio? Io posso dire che mi è capitato, anche se so che non mi è capitato, sono nato con la prima parola di questo racconto e morirò con l’ultima; ho pensato a tante cose,le parole sono armi, non sono sillabe, o suoni, e l’assenza di azione unita alla parola significa una sola e schifosissima cosa: la riflessione, quando non abbiamo niente da fare, quando siamo soli, annoiati dalla vita, dobbiamo per forza pensare a qualcosa, il pensare è la cosa più terribile che possiamo fare; il pensare genera mostri, genera ragionamenti, genera religioni, genera filosofia, genera la sofferenza. L’unico modo per smettere di pensare, è la morte. Vi chiederete perché il pensare fa male? E’ una mia umile opinione, alla fine gli effetti dipendono dalle persone, quando si vedono che non c’è soluzione alla sofferenza, si deve creare qualcosa che occupi il tempo, in modo tale da permetterci di non pensarci o procastinare la triste conclusione più tardi possibile: odio, invidia, fanatismo, speranza, altruismo, egoismo, non sono forse dei modi per occupare o distruggere questa voglia di pensare? Io la penso così, un opinione vana, sì, ma se la mia è vana anche tutte le altre lo sono, perché? Perché credo che tutte le voci siano uguali, se una è inutile, anche l’altra, seppur elaborata, seppur logica, è inutile e risulta solo un modo per occupare la nostra tendenza alla distruzione psicologica auto-indotta.
Alessandro se ne va, imbocca una strana strada diversa, un vicolo, stretto, ombroso, un vicolo che sembra sempre illuminato dalla luna, perché la luce tenue del sole è solo un illusione in quell’ombra. Perché non se ne è tornato a casa direttamente, ha forse qualcosa da fare con qualcuno? Ma dai, non diamo i numeri, è solo come un cane morto, anzi è solo come il nulla, il cane morto ha i batteri che lo decompongono che testimoniano che è stato in vita; allora dove sta andando? Non lo so, non so dove sta andando, potrei fare tante supposizioni, oppure semplicemente seguirlo in questo suo viaggio. Avete mai letto l’Ulisse di Tennyson? Io l’ho letto, non conosco il poeta, non conosco tanto bene nemmeno la poesia, allora perché lo cito? Bella domanda, lo cito perché quella scelta scellerata mi ricorda la scelta dell’anziano Idle King, mi ricorda l’ultimo viaggio di Ulisse; l’unica differenza del viaggio d’Ulisse e il viaggio di Alessandro è che se uno è una scelta disperata eroica, l’altra è la scelta disperata di un anti-eroe, più coraggioso degli altri anti-eroi di questo fottutissimo mondo.
Dove sta andando? Vi ho mentito prima, so dove sta andando Alessandro. Perché non ve l’ho detto? Perché so come la pensate voi coglionazzi riguardo il suicidio, si sta per buttare da un alto palazzo. Voi considerate il suicidio la scelta del codardo, una scelta disperata di uno che non può fare altro che non sa vivere. Per me un suicidia è uno che guardando il mondo ha capito che esso fa schifo, schifossisimo, tutto ciò che si crede coraggio, il coraggio di affrontare la vita, non è altro che una menzogna schifossima detta per farvi vivere ancora in questo mondo. Si nasce per morire e soffrire, bisogna crearsi qualcosa oltre per giustificare la propria esistenza in questo universo. Tutti a dire, dopo c’è qualcosa o dopo non c’è niente, nessuno sa cosa c’è dopo! Io voglio essere una persona speciale, magari essere il milionesimo che crepa e vincere una serata col morto, cioè assistere il trapasso di un’altra persona: vorrei vedere che faccia fa un prete appena scopre che non c’è niente, o che faccia farà un ateo appena scoprirà che c’era qualcosa, sicuramente sarebbe una faccia divertita. Alla fine il suicida è un disilluso, che vedendo questo mondo, ha deciso di optare per la scelta migliore possibile, affrontando il proprio istinto di vivere, la propria paura della morte, come? Non pensando cosa ci fosse dopo, pensando ad un sollievo, ma in fondo forse sono una sorta di illusi anche loro, forse mi sbaglio anche io. Tutti sbagliamo, ma nessuno c’entra la questione, le mie parole sono sfoghi, gli sfoghi di uno sciocco che non sa spiegare la morte, la sofferenza, il suicidio, la nascita, la gioia, le persone e forse anche sé stesso.
Intanto che ci siamo fermati a parlare e dunque in certo qualmodo vi ho resi partecipi ai miei pensieri, Alessandro si è gettato, che ********, non ci ha aspettato. Il sangue riempie il marcapiede, la sua testa fracassata guarda il vuoto dei piedi dei passanti, alcuni piangono, altri stanno zitti, tra questi passanti ci sono dei diavoli che ridono, degli angeli che passano. Non preuccupatevi questa storia ha un finale positivo, fra due giorni, dopo che il cadavere sarà tolto dalla strada e dopo che la sagoma sarà stata tolta, la gente ripasserà di nuovo su quel marciapiede: il giorno è ritornato dopo la notte, evviva, siate contenti.
Andrea Piccolo