OTTAVA PARTE
In un balzo sovraumano si tuffò verso la scatola e istintivamente la richiuse, sigillando in essa i suoi ideali e il suo futuro.
Il cielo tornò naturalmente color tenebra, la donna sparì.
Passarono giorni dall’accaduto. Tornato a Ginevra Mayr era venuto a conoscenza che quella notte erano morte centinaia persone nel raggio di chilometri dal luogo in cui lui aveva vissuto quella verità. Aveva fatto la scelta migliore, la più umana.
Un sorriso maligno si stampò inconsciamente sulle sue labbra, simbolo di un sentimento ancora sconosciuto.
A passi lenti salì le scale della sua dimora, ora vuota, per andare in soffitta.
Chiuse la porta dietro di sé e fissò a lungo il tavolo dove giaceva ancora la sua scoperta: il suo futuro, il passato di una civiltà.
Sapeva cosa doveva fare, ma non trovava il coraggio per farlo. Nel suo profondo desiderava ancora aprire quella scatola e di essere ricordato come il più importante scienziato del mondo. Si perse per qualche istante nella fantasia per evocare il Miles che sarebbe stato: un uomo geniale, apprezzato da tutto e da tutti, stimato dai nobel del suo tempo.
Ma sapeva che ciò sarebbe rimasto solo un sogno.
Controllò la tasca per assicurarsi che il biglietto per Londra fosse al suo posto. Con il cuore in gola aveva deciso di prendere il primo volo per l’Inghilterra. Il luogo in cui quella follia era iniziata doveva anche essere il luogo in cui sarebbe finita.
Aprì la ventiquattrore in pelle nera dove avrebbe riposto l’antico manufatto. Avrebbe gettato la scatola per non incappare nella trappola che la sua brama di sapere avrebbe potuto tendergli. Aveva deciso di dimenticare.
Lo prese. Sollevò il braccio e aprì la mano. Fissò per un’ultima volta la scatola. Era come la prima volta che l’aveva vista: potente e meravigliosa. Chiuse gli occhi e la lasciò cadere. Con un leggero suono essa piombò tra le morbide pieghe della sua valigetta, perdendosi nell’infinità di un ricordo.
Mayr voltò le spalle e si avviò verso la cucina.
Aveva deciso: al suo ritorno a Ginevra, dopo la visita ai megaliti, avrebbe convocato una conferenza. Sapeva di essere un buon scienziato e avrebbe resto il mondo testimone della sua nuova scoperta.
L’improvviso suono del campanello non lo infastidì, Miles continuò non curante a fare quello che stava facendo. Il rumore dovette ripetersi tre volte prima che il professore realizzasse realmente che il buon vecchio Sami non sarebbe più andato ad aprire quella porta. Intristito da tale pensiero si affrettò all’uscio.
Toccò la maniglia e in una presa forte e sicura fece scattare la serratura.
La sua espressione si mutò in orrore misto stupore quando aprì la porta e si rese conto di chi lo attendeva fuori.
< E’ così che si salutano gli amici Miles?!>.
< Scusa, ma ero convinto fossi morto…> rispose per la prima volta balbettante Mayr, facendo cenno all’uomo di accomodarsi in casa.
< Sono qui per gustare il buon tè delle tue piantagioni Miles>.
< Sei il benvenuto come sempre Ban>.
Mayr poggiò la valigetta nera in un angolo dell’ingresso. Il manufatto avrebbe atteso.
Si, avrebbe aspettato, e sarebbe stato meglio così.
Ban era tornato a fargli visita. Avrebbero preso una buona tazza di tè inglese insieme e discusso come sempre del più e del meno…
Miles dimenticò momentaneamente degli eventi dell’ultimo periodo per concentrarsi sul vecchio amico, sparito misteriosamente anni addietro, e per un maledetto istante desiderò rendere partecipe il suo vecchio professore di astronomia della sua vita e rivivere con lui la realtà di Europa…