Ayrin
Stormborn
Comincio con il dire che stavo per postare questo nuovo racconto con il titolo BUOI anzichè BUIO. Il che avrebbe reso decisamente meno
Questo terzo esperimento sarà totalmente diverso dagli altri due.
Spero vi piaccia ^_^
Nella stanza silenziosa dominava il caos.
Vestiti, scarpe, zaini perfino piatti e bicchieri erano disposti nelle posizioni più improbabili, abbandonati.
Pezzi di carta strappati ricoprivano il pavimento formando uno strano collage.
Disteso sul letto tentava disperatamente di cancellare ogni doloroso ricordo.
Bramava l’oblio dell’incoscienza.
Un buco nero pulsava in modo irregolare là dove un tempo c’era il suo cuore, divorando tutta la luce, lasciandolo in balia dell’oscurità.
Cercava dentro di se la determinazione per dimenticare, o forse l’interruttore per spegnere il cervello e bloccare ogni pensiero.
Ogni sforzo era vano.
L’immagine esplose con prepotenza nella sua mente e gli occhi di lei tornarono a tormentarlo. Ecco dov’era finita tutta la luce … custodita dietro quello sguardo …
Impotente si lasciò travolgere dal mare delle emozioni sperando forse di affogarvi.
I ricordi vividi erano nuovamente pronti per essere vissuti dal principio …
Lacrime silenziose rigavano il suo viso.
Il primo incontro era avvenuto pochi mesi prima. In una splendida giornata di Maggio era arrivata lei a svegliare la primavera. Perso tra la moltitudine di persone presenti quel giorno in quella grande piazza, la cercava. La sua telefonata arrivò a fornire un indizio: “Sono dove c’è il sole!”.
Guardandosi intorno iniziò a cercare un cartellone, un’immagine, un’insegna, qualcosa che raffigurasse il sole, ma nulla.
Dov’era?
Stava quasi per richiamarla quando si accorse dell’ombra … ricopriva come un velo grigio tutta la piazza … o quasi. In un angolino, abbastanza lontano dagli alti palazzi dietro di lui l’ombra non arrivava, e lì, avvolta dalla luce, c’era lei … al sole. Il suo sorriso si accese non appena lo riconobbe, i loro sguardi si incontrarono e lui era già perso.
“Avevo freddo all’ombra” disse lei.
Qualche attimo di imbarazzo e silenzio … poi le loro risate li unirono.
“Che razza di punti di riferimento dai?” Chiese lui, la sua voce gli sembrava improvvisamente goffa e inadeguata.
“Non mi veniva in mente altro … forse … è l’emozione …” rispose abbassando lo sguardo.
Avrebbe voluto stringerla lì, subito. Ma l’avrebbe spaventata, pensò.
Basta. Con affanno cercò di frenare i ricordi. Si alzò con uno scatto dal letto. Sollevò una mano per levar via le lacrime. Non gli era concessa la pace dell’incoscienza. Infilò la felpa, allacciò le scarpe. Riusciva ancora a compiere gesti meccanici e se ne meravigliava. Gli faceva quasi rabbia. La vita andava avanti, come prima, egoisticamente, incurante del nichilismo che lo attanagliava, tutto era invariato. Uno sguardo furente sulla scrivania, dove tra il disordine di fogli, libri e penne spiccava, quasi avvolta da una luce propria, una fotografia. Con un gesto sprezzante la lanciò a terra e si voltò. Quella stanza era impregnata di lei. Avrebbe voluto demolirla. Strinse i pugni e si chiuse la porta alle spalle. Uscì a correre. Bruciare kilometri lo aiutava a scaricare rabbia, delusione, frustrazione … almeno in parte.. Correva per ore, tutti i giorni. E avrebbe continuato a correre per sempre se avesse pensato che correndo sempre dritto, fino all’orizzonte … magari raggiungendo il sole … avrebbe trovato lei …
Questo terzo esperimento sarà totalmente diverso dagli altri due.
Spero vi piaccia ^_^
LUI
Nella stanza silenziosa dominava il caos.
Vestiti, scarpe, zaini perfino piatti e bicchieri erano disposti nelle posizioni più improbabili, abbandonati.
Pezzi di carta strappati ricoprivano il pavimento formando uno strano collage.
Disteso sul letto tentava disperatamente di cancellare ogni doloroso ricordo.
Bramava l’oblio dell’incoscienza.
Un buco nero pulsava in modo irregolare là dove un tempo c’era il suo cuore, divorando tutta la luce, lasciandolo in balia dell’oscurità.
Cercava dentro di se la determinazione per dimenticare, o forse l’interruttore per spegnere il cervello e bloccare ogni pensiero.
Ogni sforzo era vano.
L’immagine esplose con prepotenza nella sua mente e gli occhi di lei tornarono a tormentarlo. Ecco dov’era finita tutta la luce … custodita dietro quello sguardo …
Impotente si lasciò travolgere dal mare delle emozioni sperando forse di affogarvi.
I ricordi vividi erano nuovamente pronti per essere vissuti dal principio …
Lacrime silenziose rigavano il suo viso.
***
Il primo incontro era avvenuto pochi mesi prima. In una splendida giornata di Maggio era arrivata lei a svegliare la primavera. Perso tra la moltitudine di persone presenti quel giorno in quella grande piazza, la cercava. La sua telefonata arrivò a fornire un indizio: “Sono dove c’è il sole!”.
Guardandosi intorno iniziò a cercare un cartellone, un’immagine, un’insegna, qualcosa che raffigurasse il sole, ma nulla.
Dov’era?
Stava quasi per richiamarla quando si accorse dell’ombra … ricopriva come un velo grigio tutta la piazza … o quasi. In un angolino, abbastanza lontano dagli alti palazzi dietro di lui l’ombra non arrivava, e lì, avvolta dalla luce, c’era lei … al sole. Il suo sorriso si accese non appena lo riconobbe, i loro sguardi si incontrarono e lui era già perso.
“Avevo freddo all’ombra” disse lei.
Qualche attimo di imbarazzo e silenzio … poi le loro risate li unirono.
“Che razza di punti di riferimento dai?” Chiese lui, la sua voce gli sembrava improvvisamente goffa e inadeguata.
“Non mi veniva in mente altro … forse … è l’emozione …” rispose abbassando lo sguardo.
Avrebbe voluto stringerla lì, subito. Ma l’avrebbe spaventata, pensò.
***
Basta. Con affanno cercò di frenare i ricordi. Si alzò con uno scatto dal letto. Sollevò una mano per levar via le lacrime. Non gli era concessa la pace dell’incoscienza. Infilò la felpa, allacciò le scarpe. Riusciva ancora a compiere gesti meccanici e se ne meravigliava. Gli faceva quasi rabbia. La vita andava avanti, come prima, egoisticamente, incurante del nichilismo che lo attanagliava, tutto era invariato. Uno sguardo furente sulla scrivania, dove tra il disordine di fogli, libri e penne spiccava, quasi avvolta da una luce propria, una fotografia. Con un gesto sprezzante la lanciò a terra e si voltò. Quella stanza era impregnata di lei. Avrebbe voluto demolirla. Strinse i pugni e si chiuse la porta alle spalle. Uscì a correre. Bruciare kilometri lo aiutava a scaricare rabbia, delusione, frustrazione … almeno in parte.. Correva per ore, tutti i giorni. E avrebbe continuato a correre per sempre se avesse pensato che correndo sempre dritto, fino all’orizzonte … magari raggiungendo il sole … avrebbe trovato lei …