MrPsykarl88
Paranoid android
Una partita a dadi
Un nuovo complesso era nato sotto la ragnatela stradale di Deling City.
Sopra, all'aria aperta, i bus scivolavano tranquilli per le vie, accogliendo passeggeri inconsapevoli e all'oscuro di ogni verità. Erano per così dire dei cittadini ideali. Il loro tempo scorreva tra parole e pensieri che si illudevano essere propri, e scommesse su quale concorrente l'avrebbe vinta su certe futili gare, mentre oltre le loro percezioni si stava delineando un evento che avrebbe deciso il destino di loro tutti.
La strega Edea ne avrebbe mosso i fili insieme al suo sinistro compagno. Nonostante tutti lo vedessero ancora come il Salvatore del Garden; la sua coscienza era stata irrimediabilmente compromessa dalla compressione temporale. Quindici anni erano passati, ma da allora il mutamento era stato lento e insidioso come un veleno ad azione tardiva.
In seguito alla vittoria che i Seed riportarono contro Artemisia, furono chiare a tutti le ragioni per cui Cid, rettore di una delle più prestigiose confraternite di guerrieri scelti, venne elevato a presidente di una delle città più nevralgiche del continente, Deling City; trascinando con se' sua moglie nelle vesti di prima lady.
C'era dunque stato un tempo in cui Edea sembrava tornata a essere l'affettuosa Madre del passato; prima che il male usurpasse nuovamente la sua mente tramite gli influssi del suo amante segreto.
Rinoa era passata a miglior vita in circostanze tutte da chiarire, e Rouin, il figlio che Edea ebbe da Cid, non aveva poi molte somiglianze col padre putativo. I più maliziosi trovarono nuovi argomenti con cui riempire i loro pomeriggi.
E tanto più diedero aria al pettegolezzo quanto più i notiziari si dibattevano attorno alla pretesa scomparsa di Rouin:
meglio insabbiare certe verità prima che vengano del tutto a galla?
Dal pavimento saliva lezzo di sangue coagulato. Non c'erano letti, non c'erano cuscini che rendessero il sonno un po' più agevole, unica macchia a risaltare tra le crepe della dura pietra; un moncone di carne assalito dalle larve. E non c'erano nemmeno sbarre in quella cella.
- Che i tuoi occhi siano le tue sbarre.
Le parole del carceriere presero daccapo a risuonare nella sua testa, i denti stretti per l'eccitazione mentre evirava il suo compagno con una tenaglia arroventata. La sua mente semplice gli aveva giocato un brutto tiro: l'assenza di sbarre non implicava che chiunque potesse uscire in qualsiasi momento dalla sua cella. Non senza la sua virilità in cambio.
Lo squarcio di libertà illusoria che si gettava nel corridoio gli diveniva ogni giorno più insopportabile. Era taciturno e introverso come il padre, sempre così a suo agio nel suo mondo di voci interiori; eppure da quando l'avevano sbattuto lì sotto, il palco della sua immaginazione aveva preso a farsi insolitamente vivido.
C'erano notti, c'erano silenzi in cui i suoi fantasmi parevano unirsi in un abbraccio paradossale tra passato presente e futuro. Era come se il tempo si comprimesse, la sua linea si raggomitolasse fino a diventare un minuscolo punto. Frasi pronunciate all'alba della sua esistenza uscivano dalla memoria per trasformarsi in suoni esterni; scorci di cose mai avvenute iniziavano a lampeggiare dal fondo dei suoi ricordi, come se ci fosse stato davvero un tempo in cui le aveva sperimentate sulla pelle.
Da qualche giorno alcune scene prendevano vita con frequenza più pulsante di altre. Un ascensore, una fronte solcata da una cicatrice; un uomo inginocchiato che agonizzava nella sua cella. Non sapeva come, ma avvertiva quell'ascensore come una destinazione finale, le altre immagini essendo solo tasselli di un puzzle da ricomporre e teso a condurlo davanti a quella pulsantiera, a quei bottoni, a quelle porte scorrevoli.
Ma di certo non c'era nessun ascensore nei pressi, e lui avrebbe dovuto alzarsi da quel freddo pavimento di pietra e perlomeno uscire dalla cella per trovarvisi di fronte. Il suo sguardo tornò sul membro amputato del suo non più compagno di cella. Non seppe trattenersi.
I suoi succhi gastrici si riversarono e presero a scorrere a rivoli tra le crepe del pavimento. Dei passi ora si stavano affrettando verso di lui.
- Il cuoco non compiace forse il vostro nobile palato, signor Rouin?
La guardia lo stava irridendo. Ma ora che la osservava da vicino, con quello sguardo pieno di sarcasmo, ebbe modo di capire e d'un tratto tutto gli si dispiegò più chiaro del sole. Era intermente protetto da una tuta blu elasticizzata, qua e là guarnita da placche di metallo di dubbia qualità. Ma quei suoi occhi erano davvero simili a...non c'era dubbio, doveva essere proprio lui.
Rouin pretese di essere spaventato da qualcosa che calava dal soffitto, e nel momento in cui la sentinella sollevò il capo per controllare; Rouin gli assestò un unico, letale colpo sul pomo d'Adamo, ora leggermente esposto aldisotto del corpicapo. Assistette alla lenta agonia dell'uomo.
Si prostrò in ginocchio, le mani contratte d'istinto alla gola mentre gli occhi gli si accendevano paonazzi e imbevuti di sofferenza dietro due fessure di cuoio.
Venne depredato della sua tenuta da sentinella e le sue nudità furono rivestite con laceri stracci da prigioniero. Rouin fece per uscire da lì quando fu consigliato da un'altra precauzione. Volse l'uomo in posizione prona, nell'angolo più buio della cella, la faccia priva di vita rivolta al muro.
Gli occhi delle guardie avrebbero visto un prigioniero impegnato in un sonnellino ristoratore, e una guardia come loro fare la ronda che era tenuta a fare. Nulla di diverso dal solito.
L'impettito sovrintendente di quella parte di stabilimento, egli notò, stava proprio ora avanzando a passi solenni e pesanti verso di lui.
- Comandante!
Vociò una guardia a una decina di metri di distanza.
Cercò di esaminare quanto più possibile nei dettagli le mosse con cui il subordinato si era appena dimostrato tale al suo capo: aveva piegato agilmente il ginocchio destro, e, le braccia ben aderenti ai fianchi, la prima sillaba di quella parola veniva fatta coincidere con un colpo di piede sul pavimento.
- Comandante!
Rouin imitò il saluto fedele come uno specchio, per poi proseguire nella direzione opposta a quella del maggiore.
Svoltò un angolo e si ritrovò davanti a un lungo corridoio, le pareti sgualcite dall'umidità della terra, prima di attraversare a passi cadenzati una scala che conduceva ancora più in profondità nella struttura. Era davvero difficile mantenere il modo di camminare tipico delle sentinelle, così sgraziatamente sobrio e meccanico, quando dentro di lui si agitava tutto tranne che ordine e sicurezza.
Avrebbe voluto mettersi a correre, sfondare pareti, tornare a casa: ecco quello che avrebbe voluto fare, non certo imporsi di recitare la parte del burattino.
Ma a volte, si disse, gli attori raggiungono mete ben più lontane delle persone vere.
Quei dannati sotterranei era così smorti e squallidi, tutte le stanze e i dipartimenti si ripresentavano uguali l'uno dopo l'altro, come in un incubo fin troppo reale da cui sapeva non ci sarebbe stato alcun risveglio.
Si trovava ora nell'ennesimo magazzino, il soffitto anche basso più dei precedenti; file e file di container organizzati a perdita d'occhio gli precludevano un'ampia visuale dell'ambiente circostante. E fu in un attimo che, passando distrattamente lo sguardo tra una fila e l'altra, ebbe il lampo fugace di una porta d'ascensore illuminata nella distanza. Quello fu troppo.
Abbandonato ogni proposito di apparire una normale guardia ligia al proprio dovere, si mise a correre. Ed eccola lì, la visione che lo disturbava da ormai troppe notti gli era ora a pochi metri di distanza.
E quindi? Cosa aveva ottenuto a raggiungere quel posto in cui ogni cosa, dalle crepe del pavimento ai cigolii delle lampade mosse dagli spifferi di areazione; appariva mummificato in un atto di brutale instancabile osservazione?
- E adesso?
- E adesso ascoltami.
Due voci si levarono da sotto la sua posizione e oltre le opache griglie che si stendevano dai lati dell'ascensore, una maschile, autoritaria; l'altra di donna, traboccante soggezione e titubanza. Nella prima gli parve di riconoscere suo padre. L'altra...troppo alterata da potersi associare a un volto di sua conoscenza, nondimeno gli trasmetteva un nonsochè di familiare.
Riprese a giocare al gioco del bravo soldatino in modo da poterli osservare e ascoltare senza dare nell'occhio. Era sempre lo stesso giro attorno allo stesso gruppo di container quello che si era imposto di fare; perchè no? Un paio di metri di quel percorso gli permetteva di mantenersi pressochè aderente alla rete metallica, al punto da cui sentiva che continuavano a provenire le voci. Uno sguardo fulmineo e i suoi sospetti furono confermati. Collo di pelliccia, ciondolo argentato, cicatrice in fronte. Il puzzle era completato, solo che gli sfuggiva il senso di averlo fatto. Continuò dunque col suo giro di ronda.
- Ho voglia di divertirmi. Tutte queste turbe di individui che si svegliano e si addormentano col sorriso, hanno finito con l'annoiarmi. Loro e le loro chiacchiere. – Disse lui.
Arrivato al culmine di un altro giro di perlustrazione, ebbe modo di incrociare per un breve attimo la luce che brillava negli occhi di lui; e nel vederli si ricordò di un'illustrazione che aveva visto tempo addietro in un volume che raccontava storia e vicende della Guerra alle Streghe. Quel bagliore...possibile? Sembrava lo stesso che aveva visto trasparire dagli occhi cartacei della Strega del Futuro. Non c'era più nulla, in quegli occhi, che lo facesse rassomigliare pur lontanamente a qualcosa di umano.
- Ti scongiuro...- Lo implorò lei con voce sottile. Pure nei suoi occhi, notò, brillava una luce simile a quella che aveva scorto altrove, tuttavia...vi era un che di remissivo e sottomesso se paragonato alla fierezza che baluginavano quelli del suo amante - La mia reputazione già non è delle migliori, vuoi proprio che al mio popolo si urli in faccia la verità?
- Proprio di questo volevo parlarti – Riprese lui - La vedi quest'anfora di cemento?
- Sì, la vedo. Cosa contiene, altre dimostrazioni della tua clemenza verso i prigionieri, per caso?
- Spiacente, non questa volta tesoro – La smentì sboccando in una breve risata - Qui ci sono tante belle biglie colorate. Alcune nere; come la pelle che si ritroveranno quegli idioti lassù in città dopo essere stati arsi nelle loro abitazioni; altre rosse, come i fiotti che sgorgheranno dalla lingua mozzata di nostro figlio – Si interruppe portandosi una mano alla bocca. – Chiedo perdono donna; intendevo dire tuo figlio. Ma vedi, colomba mia; per chi avrà perso la facoltà di parlare non saranno più possibili sviste e distrazioni come le mie. Lo stesso dicasi per chi è morto.
E ti dirò, non riesco proprio a decidermi su quale tra queste due eventualità preferire. Per questo farò affidamento sulla sorte. A volte può essere cattiva consigliera, ma di certo i suoi sono tra i migliori consigli cui si possa aspirare in questo mondo senza dei.
Allungò il braccio verso l'imboccatura del contenitore.
- Squall! Aspetta! - Lo trattenne lei.
Ci fu un attimo di assordante silenzio, un attimo saturo di invisibili nervature di attesa e di pentimento.
- Non. Chiamarmi. In...QUEL MODO!
A Rouin parve quasi un miracolo che suo padre seppe trattenersi dall'aggredirla, tanta era stata la furia con cui aveva urlato quelle parole. Ma il miracolo alla fine avvenne, e tutto quello che fece fu strapparsi di dosso il suo ciondolo d'argento per gettarlo nelle acque di scolo.
- Si può sapere che ti passa per la testa? - Sembrò improvvisamente lei riguadagnare tutto il suo orgoglio sopito – E' con tuo figlio; è con dei civili innocenti che un tempo avresti protetto a costo della tua salvezza...E' con queste vite che hai intenzione di giocare a dadi?!
- Perchè no, Edea? – La volle ripagare della stessa moneta pronunciando il suo vero nome – Vedi; questi di cui parli sono futili dettagli del passato. E io ora appartengo al Futuro.
Rouin intese fin troppo bene il significato di quelle parole.
Tornato il silenzio arrischiò un altro sguardo in direzione dei due, notando che sua madre sembrava tornata a essere la gracile creaturina sottomessa di pocoi fa. La sua voce riprese a muovere obiezioni, pur tradendo scariche di paura e volontà di asservimento.
- Vi rendete conto...mia padrona...per quale banalità...
- Hah! - La irrise lui – Forse che nel corso della storia sono state inflitte sofferenze minori per motivi più nobili?
- Vogliate perdonare la mia intrusione, signori, ma se giungo a voi è dietro urgente invito del comandante.
Nel dire comandante, Rouin si curò di ripetere il medesimo saluto che aveva esibito nell'incrociare il maggiore ai piani sopra.
Squall ed Edea si volsero al loro figlio, ma essi non videro altro che un'anonima sentinella in tenuta d'ordinanza.
- Di cosa si tratta? Spiegati meglio.
- Informazioni riservate, mio signore. Il mio compito era di venirvi a cercare per informarvi che il comandante vi attende per questioni urgenti. Non mi è stato dato di sapere nulla di più.
Si sentì perforato, scrutato, messo a nudo. Ma ben presto, attorno a lui tutto tornò a essere immerso in un silenzio senza moto; non c'era più nessuna presenza in quel magazzino sconosciuto ai più. Era di nuovo solo, lui e la sua terribile consapevolezza. Ma le sue visioni avevano finalmente acquisito un senso.
Capì perchè quel qualcosa l'aveva spinto fin lì dove si era spinto. Le stesse distorsioni temporali che avevano deturpato e sconvolto l'essenza di suo padre, stavano forse offrendo a lui l'opportunità di riscattarsi, di dimostrare che non era mai tardi per inseguire un bene superiore? La compressione temporale era sempre stata usata per scopi malvagi, forse la chiave per spezzare il ciclo risiedeva nel servirsene per salvare delle vite. Chi poteva dire quello che sarebbe successo? Forse valeva davvero la pena di tentare, o forse, si disse, stava semplicemente uscendo di senno.
I suoi forse continuarono ad assillarlo anche mentre l'ascensore lo stava conducendo davanti a quell'anfora di cemento. Anche mentre la svuotò di tutte le sue biglie colorate. Anche quando quelle nere andarono a finire nel canale di scolo, e solo biglie rosse tornarono a giacere nel fondo del recipiente.