artemide86 ha detto:
ma Dante dimostra tutta la sua medievalità condannando (ad esempio) Ulisse all'inferno, non per aver seminato morte e distruzione in una città con l'inganno, ma perchè ha osato oltreapassare lo Stetto di Gibilterra.
Oggi, un personaggio del genere verrebbe acclamato (vedi Cristofo Colombo), nel Medioevo è un peccatore.
Ci sono precise ragioni per la collocazione di Ulisse nell'Inferno e ancor più precise per la condanna dell'oltrepassamento dello stretto di Gibilterra. Lo stretto, in questo caso, rappresenta il Limite, l'Ignoto, la porta verso l'Assoluto e cioè Dio. Ulisse, nella costruzione dantesca, è convinto di poter arrivare a Dio, e soddisfare così il suo "ardore" per la conoscenza, la sua sfrenata bramosia di sapere, unicamente grazie al suo intelletto (nell'epica e nella letteratura classiche Ulisse è il personaggio più intelligente). La condanna che Dante muove ad Ulisse è la condanna della superbia intellettuale, condanna che già aveva mosso tramite la figura di Cavalcante nel X canto. Attraverso queste due condanne, Dante si spoglia e si confessa di un peccato, la superbia intellettuale, che pure lo aveva toccato e sfiorato. La voce di Ulisse nel XVIII canto dell'Inferno è la voce di Dante. Dante è Ulisse. L'Alighieri non condanna la ricerca della conoscenza e del sapere, anzi, considera questa ricerca la più alta dignità dell'uomo ("Considerate la vostra semenza/fatti non foste a viver come bruti/ma per seguir virtute e canoscenza). Ma Dante è convinto, è sicuro (per via della sua Fede ovviamente) che a questa ricerca debba essere posto un limite, un limite che definisca la finitezza dell'uomo nei confronti dell'Infinito, di Dio. La citazione delle imprese compiute da lui e Diomede (il cavallo, lo smascheramento di Achille e soprattutto il furto del Palladio) è quasi marginale e serve solo a spiegare chi sono le anime incontrate da Dante e perchè si trovano in quella parte dell'Inferno: a ben vedere il peccato dei "consiglieri fraudolenti" viene quasi messo da parte. Sulla scena, costituita da ben cento versi, c'è solo una nuova, ultima cronistoria di Ulisse, degli aspetti narrativi completamente inventati dal poeta fiorentino e funzionali al secondo obiettivo che Dante si pone scrivendo la Commedia. Il primo è mostrare, attraverso "anime che son di fama note", lo stato delle anime dopo la morte e il castigo o il premio che tocca loro in base al loro comportamento in vita. Il secondo è confessare se stesso: i personaggi di Dante costituiscono la sua coscienza. Ognuna delle anime che Dante incontra ha commesso un peccato che il poeta stesso ha toccato o sfiorato. Il racconto, la narrazione dei vari personaggi che Dante incontra, le loro confessioni, costituiscono, tutti insieme, la confessione della coscienza e dell'anima del poeta, il suo percorso, il suo "itinerarium mentis, il suo cammino dal peccato all'Assoluto, dal terreno al celeste, dall'umano al divino. Ulisse, per banalizzare, è una parte del Dante che troviamo nella selva oscura del primo canto.
Nella condanna alla superbia intellettuale (pur riconoscendo l'alta dignità umana della ricerca della conoscenza e del sapere, ma ponendo un limite invalicabile) Dante non è attuale? Assolutamente non sono d'accordo. Un esempio banale della sua attualità può essere la ricerca genetica. Questa ricerca è importantissima per l'uomo: in futuro grazie ad essa si potrebbero dimezzare le malattie che ci colpiscono dall'alba dei tempi e si potrebbero prevenire nuovi morbi. Eppure sono tante le voci che chiedono di non andare oltre con la manipolazione dei geni, sono tante le voci che chiedono di non oltrepassare il limite. La clonazione è da più parti osteggiata. Dante, oggi, probabilmente, avrebbe accettato la ricerca genetica come mezzo per migliorare la vita dell'uomo; ma, ancora più probabilmente, avrebbe criticato la clonazione: in essa avrebbe scorto, ancora una volta, dei novelli Ulisse che, con l'assoluta fede nel proprio intelletto, avrebbero cercato di oltrepassare il limite che separa umano e divino.