Ecco un nuovo capitolo della mia storia. In questo noterete l'ingresso in scena di due nuovi protagonisti, che troveranno posto più avanti nel racconto. E' diverso dagli altri, ma fa parte della stessa storia, statene sicuri
buona lettura!
LARESS E XENEN
L'elfica città di Notharìl era la perla della civiltà di quelle creature, la più bella, la più elegante, la più vivibile. Era la notte più buia che gli elfi avessero mai visto. Camminando tranquillamente, avvolto nel suo mantello grigio, che gli copriva le strane ali violacee sulla schiena, e con il volto coperto dal cappuccio abbassato, in modo da nascondere l'orrido spettacolo, il mostro avanzò verso il centro della città. Cadaveri di elfi erano già sparsi alle sue spalle, erano le guardie armate con spade lunghe e balestre, oramai senza vita e dilaniate da innumerevoli graffi e lacerazioni.
Raggiungendo il centro della piazza, segnalato da cerchi incisi nel terreno erboso, il mostro scoprì il capo con le sue mani artigliate. Il bruttissimo ghigno, formato da innumerevoli denti bianchi e aguzzi, si stirò sul suo viso, deformandolo ulteriormente. Aveva il corpo di un uomo, corna e artigli di Drago, pelle e potenza di un Elfo, ali e agilità di un Demone. Era un Ysr, unico della sua specie. Aveva una spada con il manico lunghissimo attaccata alla schiena. La aveva forgiata lui stesso, dopo aver ucciso un drago. Doom era il nome della spada, e la sua lama rossa era di quel colore a causa del sangue dei nemici versato sulla stessa. Sull'elsa della spada brillava un piccolo puntino bianco, formato da un frammento della pietra Shodel, rubata dal pezzo originale, racchiuso nel tempio del tempo, nella città del Nord, Impero. Estraendo Doom, il mostro piantò la sua lama per terra, toccando con entrambe le mani la pietra. Parole incomprensibili uscirono dalla sua bocca, mentre una piccola sfera rossa si stava creando davanti a lui. La sfera divenne d'un tratto piena di fuoco, esplodendo attorno a lui, incendiando tutta la città, rendendo la notte come giorno.
Gli alberi cominciarono a diventare rossi scarlatti, infiammandosi e cominciando a tagliari i fili delle vite che erano racchiuse nelle case dentro di essi. Elfi carbonizzati, madri con in mano i figli, giovani e vecchi, tutti fuggivano dalle case, ma trovavano la morte nella terribile Doom, la spada della bestia.
Una risata terribile, con una voce doppia che le rimbombava nella testa fu l'ultima cosa che ella vide, prima di svegliarsi.
Laress si destò nel suo letto. Il sole attraversava le tende, illuminando il suo volto dai lineamenti allungati, tipici degli elfi. I lughi capelli neri, raccolti in due ciuffi enormi sul davanti e lasciati cadere sulle spalle, crespi, erano madidi di sudore, così come la sua fronte. I suoi occhi, azzurri come il ghiaccio, quasi bianchi, come se in mezzo al bianco dell'occhio non ci fosse l'iride, ma solo la pupilla. Erano giorni ormai che nei momenti di dormiveglia e di sonno ripeteva lo stesso sogno. Che fosse una premonizione? Si alzò a sedere. Indossava una lunga veste da notte di colore bianco che, controluce, lasciava intravedere le sinuose forme del suo corpo, incredibilmente bello, aggraziato, degno di un'elfa così giovane com'era lei. Il cinguettio di pochi uccellini rischiarava la sua mattina, mentre si stiracchiava, ancora focalizzata sull'ultimo dettaglio di quel sogno: la terribile risata della creatura... Con un brivido si scoprì e si alzò dal letto, andando verso la bacinella di acqua che c'era nella usa camera. Si lavò bene il viso e le mani con l'acqua che era stranamente tiepida, nonstante la mattina non fosse delle più calde. Avvicinandosi all'armadio intarsiato che occupava interamente la parete sinistra della sua stanza, la giovane elfa iniziò a slacciarsi la veste. Giunta all'armadio lo aprì, tolse la veste, rimanendo completamente nuda, e gettò il soffice capo di abbigliamento sul suo letto. Con fare sbrigativo prese uno stretto corpetto di colore verde e dei pantaloni aderenti color legno. Indossò quindi il tutto e si avviò verso il piccolo specchio che aveva in camera. Con un piccolo pettinino cercò di domare i crespi capelli, senza riuscirci. Prese quindi un fermaglio con un piccolo fiore di colore blu su di esso e lo mise sulla parte destra della testa. Tornò quindi all'armadio, indossando i lunghi stivali e i guanti dello stesso color legno dei pantaloni, richuse l'armadio e si avviò verso l'esterno della sua camera, richiudendosi anche quella porta alle sue spalle. I suoi 112 anni che, rapportati, erano 18 anni umani, erano rispecchiati nella giovinezza del suo corpo, sinuoso e agile, alto circa un metro e sessantacinque centimetri. Con un bacio sulla guancia salutò il fratello Aramil, uscendo quindi dalla casa. La porta principale dava sulla piazza grande. Alberi mastodontici circondavano il legno scolpito che formava la pavimentazione della piazza. Prendendo l'arco, precedentemetne appoggiato fuori dalla porta, e caricando arco e faretra sulla schiena, la giovane si avviò verso sud, verso la foresta, per iniziare la ronda. Il suo ruolo di ranger guardiaboschi era stato ereditato dal padre, morto poco tempo prima alla venerabile età di 754 anni, il giorno prima del suo 755° compleanno. Saltando agilmente di ramo in ramo, la giovane si osservava attorno. Le attività degli animali erano aumentate in quei giorni, forse per l'arrivo di una nuova creatura, che era stata notata solo per i corpi di altri due guardiaboschi dilaniati da prfonde ferite, la maggior parte delle quali dovute a perforazioni avvelenate, quasi fossero denti.
La giornata passò tranquilla, in giro per il bosco solo il suo inseparabile lupo Xenen, con lei da moltissimi anni, come se il lupo avesse assorbito la longevità dell'elfa. Il legame empatico con la bestia era incredibile, solo concentrandosi la giovane poteva sentire le sue emozioni. Fame, gioia, paura... tutto con un piccolo grado di concentrazione. Era incredibile come il lupo fosse diventato il suo famiglio...
Era buio quando la giovane rientrò a casa. Il fratello stava preparandosi per uscire nel suo turno di guardia. "Attento Aramil... la notte è buia e la creatura non si è ancora fatta vedere..." Con un abbraccio, il fratello rassicurò la sorellina, dicendo: "Non lascerò che la città di Notharìl sia messa in apprensione da un pipistrello troppo cresciuto...". Sorrise dopo questa affermazione. Prese l'arco e lo tese, sentendo la flessibilità della corda tra le sue dita. Carico nella faretra le frecce e partì, salutando con un occhiolino la sorella, che si avviò verso la sua camera. Ripetendo il rituale mattutino al contrario, Laress si spogliò, si corcò dopo aver infilato la vestaglia e si addormentò.
Era la notte più buia che gli elfi avessero mai visto. Camminando tranquillamente, avvolto nel suo mantello grigio, che gli copriva le strane ali violacee sulla schiena, e con il volto coperto dal cappuccio abbassato, in modo da nascondere l'orrido spettacolo, il mostro avanzò verso il centro della città. Cadaveri di elfi erano già sparsi alle sue spalle, erano le guardie armate con spade lunghe e balestre, oramai senza vita e dilaniate da innumerevoli graffi e lacerazioni.
Raggiungendo il centro della piazza, segnalato da cerchi incisi nel terreno erboso, il mostro scoprì il capo con le sue mani artigliate. Il bruttissimo ghigno, formato da innumerevoli denti bianchi e aguzzi, si stirò sul suo viso, deformandolo ulteriormente. Trasportava nella sua mano destra un cadavere, facendolo strisciare per terra, tenendolo dalla testa. L'arco e le frecce ancora al loro posto, la collana d'oro che penzolava dal collo. Lasciandolo andare, il mostro estrasse la sua spada...
Laress si svegliò. Era il momento, doveva fuggire. Alzandosi di fretta e furia si denudò della veste da camera, riindossando i vestiti da ranger e avviandosi verso l'uscita di casa, ma non dopo aver messo nuovamente il suo fermaglio. Giunta alla porta senti un ringhio strano e delle parole incomprensibili. Aprendo la porta con cautela, la giovane elfa si appiattì contro la parete, uscendo lentamente. Ciò che vide le gelò il sangue nelle vene. Il cadavere accanto al mostro era quello di suo fratello Aramil. L'arco e le frecce ancora al loro posto e la catenina della madre al collo. Con un ghigno, un'enorme sfera di fuoco si disperse, partendo da davani alla creatura. "Ashìl no mothorém achtal!" disse in fretta Laress. Fece appena in tempo a creare una piccola barriera protettiva attorno a sè, quando l'esplosione rese la città irriconoscibile ed avvolta dalle fiamme. Elfi carbonizzati, madri con in mano i figli, giovani e vecchi, tutti fuggivano dalle case, ma trovavano la morte nella terribile Doom, la spada della bestia.
Con le lacrime agli occhi, la giovane elfa notò che la creatura stava riponendo la spada. Piantando bene gli artigli per terra, il mostro aprì le enormi ali di pipistrello, sollevandosi in volo e partendo in maniera molto veloce verso sud, verso la Piana delle Pene. Con le lacrime agli occhi e straziata dal dolore, Laress si avvicinò al cadavere del fratello. Non le importava nulla di ciò che accadeva attorno a lei. L'ultimo frammento della sua famiglia era scomparso. Piangendo disperatamente coltò il fratello. Il suo volto era sereno, e lei gli accarezzò la guancia ormai fredda, priva per sempre del sorriso che lo aveva contraddistinto. Si asciugò gli occhi e le guance con la manica del vestito, mentre tutto attorno gli alberi iniziavano a cadere. Laress prese la collanina d'oro del fratelloe la indossò, facendola scivolare sotto il vestito. Prese dunque la faretra, che legò alla schiena e l'arco, che mise a tracolla. Si avviò quindi correndo verso l'uscita del bosco. Ormai l'incendio si stava propagando rapidamente.
-Paura-
Xenen era terrorizzato, lo sentiva. Correndo a più non posso, forte dell'incantesimo scudo che però iniziava ad indebolirsi, Laress arrivò in una radura, il fuoco poco dietro di lei. Con un fischio armonioso, richiamò a sè l'enorme lupo grigio Xenen e, accarezzandogli la testa, gli fece capire che dovevano scappare. Il lupo la fissò negli occhi, per poi voltarsi ed iniziare a correre verso l'esterno della foresta. "Seguimi", sembrava dire.
Corsero per ore. E poi corsero ancora. E mentre Laress correva, capiva che non avrebbe mai più rivisto la sua terra natale, capiva che doveva trovare la creatura e distruggerla, capiva che la violenza insensata e gratuita del mostro andava fermata prima che qualcun'altro soffrisse.
E poi corsero ancora, mentre calde lacrime amare scorrevano lungo le sue guance, corsero verso la libertà. E varcarono i confini dell'impero senza accorgersene. E il lupo Xenen la guidava, forse inconsciamente, verso la libertà, verso la sicurezza, che la bella e giovane elfa Laress non avrebbe mai più potuto trovare.