“Metal Gear? Per non dimenticare”
Tgcom intervista Hideo Kojima
Pochi, pochissimi videogiochi hanno allo stesso tempo trasformato il mercato, ambito a qualche velleità artistica e incontrato il favore illimitato di pubblico e critica. Tra di loro si annovera senz’altro la saga di Metal Gear Solid, che ha attraversato due generazioni di console lasciando sempre il segno, anche troppo, visto che il secondo capitolo, con un colpo di scena hollywoodiano, creò non poco scompiglio nei fan, con la scomparsa per quasi tutto il gioco del protagonista assoluto, Solid Snake. E per Snake ora è tempo di bilanci; il quarto episodio è alle porte. La piattaforma è tutta nuova: quella Playstation 3 che pare una Ferrari che gira con le ganasce alle ruote o pilotata da un ottantenne dai riflessi un po’ allentati, poiché ancora nessuno ha in minima parte scalfito le sue potenzialità.
Era destino che a provarci fosse Hideo Kojima, il creatore della serie Metal Gear, o meglio l’innovatore, visto che in realtà le radici affondano addirittura ai tempi dell’Msx 2, quando 16 colori parevano fin troppi per dipingere un mondo fatto di sprite e dove la fantasia riempiva il vuoto tra quello che il programmatore voleva mostrare e quello che la tecnologia permetteva. Problema ben chiaro ancora adesso a Kojima, adorato come un semidio dai fan, rispettato da tutta l’industria dei videogiochi per la sua influenza, seconda forse solo a quella del guru Nintendo Miyamoto.
Tgcom l’ha incontrato e, insieme ad alcuni colleghi, ne è nata una chiacchierata minata da un triplo filtro linguistico (giapponese-inglese-italiano e viceversa), ma non per questo meno interessante e illuminante su quale direzione il mondo dei videogiochi stia prendendo.
Partiamo dal plot: serie televisive moderne come Lost dimostrano che spesso la trama si forma mano a mano che il progetto avanza. E’ stato così anche per Metal Gear o era già tutto scritto dall’inizio?
Entrambe le cose. Io ritengo che ogni episodio di Metal Gear sia autoconclusivo e quindi ideato fin dall’inizio per esserlo. Ogni volta ho creduto che fosse l’ultima: poi ho trovato nuove idee per proseguire la serie, ma non c’era un piano preciso per farlo fin dall’inizio. Non ho fatto come George Lucas con Guerre Stellari che aveva fin dall’inizio pensato ad una macrotrama divisa in diversi episodi, ognuno poi con il suo svolgimento.
In questo quarto capitolo i temi sono ancora più maturi, Solid Snake è invecchiato e malato. Cosa è cambiato?
E’ una storia che parla di guerra e di ideali. Ma questa volta non ci sono solo buoni o solo cattivi. Tutto è molto più sfumato, perché quello che ho cercato di spiegare è che il bene apparente può nascondere malvagità e anche il peggiore dei mali può, alla fine, trasformarsi in qualcosa di buono. La verità è che è in corso una grande battaglia per il destino del mondo: starà al giocatore scegliere da che parte schierarsi e addirittura se interferire oppure lasciare che segua il suo corso, occupandosi solo della sua missione. E’ lui che deve dare un “senso” a tutto ciò che vede. Ecco, proprio il “senso” della missione, della guerra è il tema portante del gioco.
Un “senso” diverso da quello proposto nei primi tre Metal Gear
E’ cambiata la filosofia, Snake è vecchio, morente. Prima era un discorso tra padri e figli. Con i padri che dicevano ai figli cosa si deve fare e come. Ora i figli sono cresciuti e hanno appreso l’insegnamento dei padri: capiscono il perché le cose vadano fatte. I padri non hanno più niente da dire: è ora che i figli mettano in pratica i valori che sono stati loro insegnati.
Tra questi sembra essere molto presente quello degli effetti che la guerra provoca
Vedete, la mia generazione (Kojima ha 45 anni ndr) in Giappone è cresciuta con in mente ben precisa l’idea della guerra e della morte che provoca. I nostri genitori e ancora più i nostri nonni hanno vissuto una devastazione senza precedenti, sono stati testimoni oculari, siamo cresciuti ascoltando i loro racconti. Quindi in noi è molto forte il senso della testimonianza, sentiamo grande la responsabilità di non dimenticare e non far dimenticare. Perché le nuove generazioni non solo non hanno vissuto la guerra, ma non ne hanno mai nemmeno sentito i racconti, non ne parlano, come se non ci fosse mai stata. Siamo noi responsabili nell’insegnare loro che cosa invece la guerra sia, cosa provochi e come fare per evitarla.
Non crede che invece i videogame possano essere usati proprio per lo scopo opposto, ossia propagandare un’idea di guerra?
Sì, c’è questo pericolo e mi spaventa molto. Mi sono giunte voci che negli Stati Uniti si cerchi di strumentalizzare i videogiochi per renderli un mezzo per avvicinare le nuove leve all’esercito. Spero non sia vero, ma se così fosse, sarebbe aberrante.
Lei tre anni fa qua a Milano, alla presentazione di Metal Gear Solid 3 disse che i videogiochi non sono arte. E’ ancora dello stesso parere?
(ride) Non ricordo di averlo detto e quale fosse precisamente il contesto. In realtà il processo artistico di un produttore di videogiochi è molto complesso. Creare un videogame è molto più difficile che realizzare un film, perché bisogna tenere in considerazione un aspetto che nelle altre arti non c’è, ossia l’interazione che l’utente ha con l’opera e che è parte integrante dei videogiochi che non sono una fruizione passiva.
Metal Gear Solid 4 dovrebbe diventare la killer application per Playstation 3, ossia il prodotto che fa la differenza nella scelta della console. Quanto è stata forte la pressione durante la sua realizzazione?
Beh, la pressione c’è stata, ma io l’ho considerata più una sfida che un’oppressione vera e propria. Anche perché in questo momento è molto forte la domanda di casual games, ossia giochi realizzati per un pubblico di giocatori occasionali. Prodotti diversi da Metal Gear, che invece ha richiesto forti investimenti e anni di lavoro per poter essere portato a termine. Ho visto la riuscita di Metal Gear anche in questo senso: se avrà successo dimostrerà che prodotti del genere meritano ancora di essere realizzati.
In Metal Gear Solid 4 entra il gioco online che lei ha sempre considerato importante e che ora è diventato realtà grazie alla banda larga. Che direzione crede prenderà? Non pensa che in questo genere di prodotti l’accento sia posto troppo sulla componente emotiva a scapito di quella espressiva, come ad esempio la trama e la narrazione?
Io credo che l’online gaming sia un’espansione del gioco offline, un modo per proseguire l’esperienza offline con amici e conoscenti. Penso anche che abbia enormi potenzialità e che sia giunto il momento di fare il salto di qualità. E’ vicino il tempo in cui anche i giochi online offriranno approfondimento ed emozioni pari a quello degli altri: ecco, è proprio questo il genere di gioco che voglio realizzare in futuro.
Una promessa? Un’anticipazione? Quel che è certo è che Solid Snake, invecchiato e maltrattato, è giunto alla sua ultima missione. Le pistole dei patrioti spareranno per l’ultima volta: per vedere chi resterà in piedi, bisogna attendere il 12 giugno.