La perdita della memoria (e la pirateria onesta)
Come la generazione digitale deve trasgredire la legge per non dimenticare.
di Ivan Fulco, pubblicato il 13/6/2012
In tutta onestà, devo ammettere di aver trascorso le ultime tre settimane a trasgredire la legge. O almeno credo, visto che in nessun momento mi sono effettivamente posto il problema. Tutto è iniziato nemmeno un mese fa, quando in casa mia abbiamo dato il benvenuto al beneamatissimo Mimmo. Nulla a che vedere con neonati, pannolini o biberon, intendiamoci: "Mimmo" è solo il nomignolo assegnato d'ufficio al mio Mamecab, ovvero un cabinato da sala giochi convertito per l'emulazione MAME, con schermo da 19 pollici, due postazioni con otto tasti ciascuna, joystick e pulsanti Sanwa, gettoniera funzionante e marquee retroilluminato con logo MAME. Avete finito di detestarmi? Molto bene, possiamo proseguire.
Circa un mese fa, dicevo, quando Mimmo è entrato in casa mia, la scelta è stata praticamente obbligata. E in tempo zero ho avviato la mia operazione di "preservazione della memoria digitale". In parole povere, ho iniziato a stantuffare nel pregiatissimo Mimmo tutti i videogiochi da sala emulati fino a questo momento, perfettamente catalogati e ordinati come solo un geek notturno potrebbe ardire. È stato così che, in pochi giorni, mi sono procurato l'intero romset del MAME nella sua forma deluxe (oltre 54 GB di software, per un totale di circa 18 mila titoli) e sono partito per lo sconfinato mondo dell'emulazione.
(Ora, prima di proseguire vorrei aprire una parentesi. Nella realtà dei fatti, io non ho trasgredito nessuna legge, come ovvio, perché possiedo tutte le circa 18 mila schede originali dei videogiochi MAME, ergo ho il diritto legale di emularli. Ma questo, vorrei ricordare, è solo uno scenario ipotetico: immaginiamo che io abbia trasgredito la legge, così che possa portare a casa l'articolo).
È stato durante questo processo di catalogazione estrema, ad ogni modo, che ho avuto quella strana sensazione. Ho iniziato a vagabondare nelle lunghe liste di videogiochi d'epoca, provando titoli come Asteroids, Galaga e Panic Bank, poi Cabal, Bomb Jack e Psychic Five, fino ad arrivare a Wonderboy, Kung Fu Master e Rush & Crush. E mentre io stesso assumevo forma fluida nei ricordi, pensando a quanti anni sono trascorsi e a quanta storia digitale appartenga alla mia storia personale, mi sono reso conto di essere nel pieno di un reato. Facepalm, dico io!
Permettetemi a questo punto di inanellare qualche nozione inesatta. In Italia, i videogiochi sono legalmente considerati delle "opere multimediali complesse" (cfr. sentenza della Corte di Cassazione n. 33768 del 25 maggio 2007). Questo, e qualsiasi avvocato all'ascolto si senta libero di correggermi, li sottopone a un diritto d'autore della durata di 70 anni dalla morte dell'ultimo creatore. Negli Stati Uniti e in Giappone, altri luoghi di interesse per un videogiocatore, il relativo diritto d'autore dovrebbe attestarsi su una durata di almeno 50 anni. In ogni caso, un periodo di tempo quantomeno doppio rispetto all'intera storia dei videogiochi.
Eppure, molti dei giochi che onorano il mio glorioso Mamecab sono oggi quasi impossibili da reperire. Le versioni originali dei cabinati sono praticamente estinte. Nella maggior parte dei casi non sono state pubblicate riedizioni. E anche quando questo è accaduto, si tratta spesso di prodotti ormai fuori commercio. Non ho approfondito la situazione specifica (posso forse ammorbarvi con le mie ricerche legali?), ma chi detiene oggi i diritti di Bomb Jack? In che forma posso acquistarne una copia? E per farci una partita, devo necessariamente trasgredire la legge?
Il problema, in questo senso, è puramente tecno-logico: dal punto di vista del diritto d'autore, i videogiochi non possono essere assimilati alla letteratura, alla musica o al cinema. Per questi ultimi, le opere originali sono state preservate riversando il contenuto dai supporti originari ai nuovi formati tecnologici, perlopiù con procedure non complesse: dal manoscritto all'ebook, dal nastro all'MP3, dalla pellicola al Blu-ray. Nel caso dei videogiochi, invece, il decadimento del supporto originale (computer, console, disco ottico) comporta spesso un serio problema di riproduzione. Nella maggior parte dei casi, un videogioco d'epoca non può essere banalmente "riversato" in un nuovo formato, ma dev'essere emulato, se non addirittura riprogrammato. E se di questo non si occupa il detentore dei diritti, l'opera rischia di andare persa nell'arco di pochi decenni.
Questa situazione ha generato un ironico ricorso storico. Secoli fa, nei monasteri medioevali, agguerriti squadroni di amanuensi si slogavano i polsi per preservare le opere letterarie, ricopiandole di proprio pugno per poi tramandarle ai posteri. Erano loro i primi geek, versione secolobuica dello sfigato di finemillennio che, per primo, ha iniziato una simile opera di preservazione digitale. Oggi, noi geek moderni raccogliamo il nostro patrimonio di videogiochi d'epoca su dischi ottici, rigidi o virtuali, duplicandolo e distribuendolo come altrettanti agguerriti amanuensi. Anche noi cataloghiamo e archiviamo, slogandoci i polsi su mouse e tastiera, per poi tramandare la cultura dell'intrattenimento ai posteri. Per molti è soprattutto la volontà di videogiocare ai classici a costo zero, s'intenda, ma c'è anche molto amore per la nostra storia digitale. Eppure, noi siamo giocoforza dei fuorilegge.
Al riguardo di geek antichi e moderni, scrive lo storico Benji Edwards su Technologizer: "La principale differenza tra ieri e oggi è che il software decade nell'arco di anni, piuttosto che di secoli, tramutando la preservazione attraverso la duplicazione in un atto illegale. E questo rappresenta un serio problema: migliaia di opere digitali di rilievo culturale – precisa Edward – stanno andando perse nel momento stesso in cui parliamo".
La perdita della memoria, da questo punto di vista, è una conseguenza dell'imprescindibile legame tra un videogioco e l'hardware necessario per eseguirlo, al punto che la scomparsa del secondo causa spesso l'irriproducibilità del primo. Se in questa equazione introduciamo la velocità evolutiva della tecnologia informatica, che negli ultimi trenta anni ha portato all'estinzione di piattaforme e formati, il paradosso è tratto: l'epoca digitale, quella in cui è più semplice archiviare dati, è al contempo quella in cui è più semplice perdere dati.
Oggi non ho speranze di riprodurre la mia cassetta di Impossible Mission per Commodore 64. Meno che mai il mio floppy di Shadow of the Beast per Amiga. Avevo fiducia nella possibilità di reinstallare il mio CD di Grim Fandango per PC, pur con la necessità di emulare il sistema operativo del periodo, ma il disco è stato drammaticamente eroso dal tempo, fino a diventare illeggibile, nonostante avesse nemmeno quindici anni di vita. Alla luce di tutto questo, mi chiedo, potrebbe effettivamente esistere una pirateria onesta?
Nicola Salmoria e gli altri paladini del MAME stanno affrancando il videogioco arcade dal giogo della tecnologia obsoleta. In questo senso, esiste una pirateria onesta?
"Qualora inquadrati in un contesto storico – scrive ancora Edward – i benefici della pirateria del software superano di gran lunga i suoi costi a breve termine. Chiunque abbia a cuore la storia della tecnologia, in questo senso, dovrebbe essere grato alle persone che copiano software senza autorizzazione. Potrebbe sembrare una contraddizione, ma la pirateria ha effettivamente salvato più software di quanto ne abbia distrutto. Già allo stato attuale, i pirati hanno salvato dall'estinzione decine di migliaia di programmi, dimostrando il loro ruolo come involontari alfieri della cultura digitale".
La chiave di volta, come chiarisce Edward, è che la pirateria promuove la sopravvivenza dei dati digitali attraverso due fattori: l'ubiquità e l'indipendenza dal formato. Come dire, distribuendo i videogiochi su più canali e affrancandoli dalla schiavitù dell'hardware originario. In questo scenario si inquadra il ruolo di primo piano dell'emulazione, e di eroi come Nicola Salmoria e gli altri autori di emulatori, che stanno pian piano liberando l'enorme archivio videoludico dalle catene del passato. Ma per quanto riguarda gli utenti, non dovremmo avere anche noi il diritto di diffondere questa storia tecnologica, senza doverci guardare le spalle dalla legge?
La mia generazione è cresciuta immersa in una cultura pop di cui i videogiochi sono parte integrante. Ai nostri figli consiglieremo di leggere i libri che più abbiamo amato, i film che più ci hanno fatto sognare, ma anche i videogiochi che nei luoghi più remoti dell'immaginazione ci hanno fatto viaggiare. Nel caso di un libro o di un film, procurarci una copia di queste opere non sarà complicato. Per molti videogiochi, al contrario, forse sarà impossibile. A meno ovviamente di trasgredire la legge.
Se esiste un inviolabile diritto d'autore, tuttavia, credo debba esistere anche un sacrosanto diritto del videogiocatore. Una legge del buon senso che trascenda le leggi dell'uomo, spesso imperfette, e che permetta a chiunque di praticare una "pirateria onesta", per preservare la memoria e garantire a questa anomala cultura geek di perpetuarsi. O almeno, questo è un punto di vista. L'altro è che siamo solo bambocci troppo cresciuti che vogliono smanettare con vecchi giochini senza pagare nulla. Ma a ciascuno il suo. Per quanto mi riguarda, Mimmo e io siamo già incamminati sulla strada della memoria.